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    Nell’ambito della decima edizione dell’Osservatorio sull’impresa sociale, l’associazione Isnet ha presentato i dati sul mondo del non profit, un ambito destinato di qui ai prossimi anni a subire numerosi cambiamenti per effetto della riforma del Terzo Settore. 

    Uno dei maggiori mutamenti dovrebbe riguardare proprio la categoria delle imprese sociali. Il nuovo quadro legislativo consente forme di remunerazione del imprese-femminilicapitale, incentivando di fatto la costituzione di modelli d’impresa ibridi tra il profit ed il non profit.
    Secondo i calcoli dell’associazione Isnet il numero di imprese sociali dovrebbe passare dalle attuali 1.053, che rispettano i parametri posti dal decreto legislativo n.155 del 2006, fino a quota 15.100.
    Andranno considerate nella categoria “impresa sociale”, infatti, anche le cooperative sociali ed i loro consorzi, le società benefit e le b-corp. Ci sarà, dunque, una maggiore contaminazione tra il mondo del profit e quello del non profit con l’obiettivo di rendere l’ecosistema dell’impresa sociale più attrattivo agli occhi degli investitori. In quest’ottica nasce anche la Fondazione Italia Sociale che dovrà investire in progetti innovativi dal forte impatto sociale.

    Non tutti gli operatori, però, attivi nel campo del non profit sono contenti di questa svolta legislativa. L’indagine di Isnet li divide in “riformisti” e “tradizionalisti“.
    I primi, corrispondenti al 28,4% dei soggetti intervistati, sono favorevoli all’ingresso di nuovi attori, per gli effetti di contaminazione positiva, l’acquisizione di know how e la maggiore dinamicità organizzativa che ne può conseguire. Sono di più i tradizionalisti (35,8%), ovvero quelli che temono l’innescarsi di meccanismi competitivi con imprese che assumono la veste sociale prevalentemente per motivi opportunistici, tradendo così i valori distintivi del mondo non profit.
    In generale – come riportato dal rapporto dell’associazione Isnet – le imprese sociali sono in costante crescita. Hanno svolto attività per 20,6 miliardi di euro e impiegato 735 mila addetti. Il 37,2% delle cooperative sociali, inoltre, dichiara di aver incrementato il proprio volume di attività facendo così registrare un +3,6% rispetto al 2015. Sul fronte dell’impatto sociale, solamente in termini di inclusione lavorativa, il sistema occupa 67.100 soggetti svantaggiati.