• È possibile rendere la Pubblica Amministrazione più digitale e più vicina ai cittadini, magari consentendo a questi ultimi di finanziare i progetti ed i servizi utili per l’intera comunità?
    Questa pratica così complessa da attuare e così affascinante ha un nome: crowdfunding civico. Si tratta di uno straordinario strumento di partecipazione e di coinvolgimento diretto dei cittadini nella vita della propria collettività, un modo per contribuire alla crescita della città ed aumentare la qualità della vita dei suoi abitanti.

    In Italia abbiamo già qualche esempio di crowdfunding civico, uno su tutti è la ristrutturazione del portico di San Luca, a Bologna, avvenuta attraverso le donazioni volontarie di 7.111 cittadini: un bell’esempio di democrazia partecipata e di senso civico.
    Ma bastano pochi esempi vincenti per far diventare il crowdfunding civico una prassi all’interno di ogni amministrazione pubblica?
    Allo stato attuale sembra un’impresa impossibile e lo è soprattutto dal punto di vista culturale.
    Manca in Italia una concezione dello Stato come erogatore di servizi per la collettività e come grande contenitore dei bisogni comuni.
    Del resto gli scandali, anche recenti, legati al mondo della politica e della P.A. non hanno certamente contribuito a cambiare la nozione di uno Stato autoreferenziale ed in alcuni casi anche corrotto.
    Chiedere ai cittadini un finanziamento, anche in forma libera, di un progetto di interesse collettivo verrebbe comunque visto come una sorta di appropriazione pubblica del denaro privato e un’ulteriore tassa da pagare.
    Questo è uno dei tanti motivi per cui gli strumenti di smart city e di economia digitale faticano ancora ad affermarsi nel nostro Paese e difficilmente lo faranno prima che la cultura digitale e quella politica trovi spazio nelle aule scolastiche e nelle arene pubbliche.
    Solo a quel punto, forse, il crowdfunding civico potrà diventare una realtà possibile.