Se l’Italia si sta impoverendo, gli effetti della crisi sono sotto gli occhi di tutti, figuriamoci gli italiani. La forbice tra ricchi e poveri, lo abbiamo ribadito più volte, si è allargata non lasciando dormire sonni tranquilli nemmeno più a quella fascia media che, pur non potendo permettersi lussi e stravizi, riusciva a “riposare” vivendo delle sufficienti risorse disponibili.
La sentenza dell’Istat di poche settimane addietro è stata impietosa e, del resto, c’era da aspettarselo. L’11,1% della famiglie italiane sono in rosso, 8 milioni 173 mila di italiani, che salgono al 18,7% se si considerano anche quel 7,6% di persone che, un tempo tranquille (la fascia media), oggi sono prossime alla povertà.
Un dato allarmante considerando che la povertà che da tempo caratterizza diverse fasce del nostro Paese, si sta sostanzialmente trasferendo sulle famiglie con un solo figlio (definite indigenti) o nelle quali sono presenti uno o più anziani. Il 28,5% dei nuclei famigliari con più di cinque componenti è relativamente povero. Dato che al Sud raggiunge il 45,2%: Sicilia e Calabria le regioni più povere, al 27,3 e 26,2%. Trentino, Lombardia, Valle D’Aosta e Veneto le meno povere.
Una fotografia impietosa che annovera le famiglie di operai, come quelle di disoccupati o con profili professionali e/o titoli di studio bassi, tra quella maggiormente a rischio o già “relativamente” povere, con dati tutti in crescendo. Una soglia di povertà definita da una spesa mensile inferiore o pari a 1.011 euro.
Più che lamentarsi attribuendo colpe e responsabilità all’attuale governo, non sono da meno tutti i precedenti, è giunto il momento di mettere mano ad iniziative utili a contrastare il fenomeno. Fondi di sussidiarietà e solidarietà accanto a politiche occupazionali serie: soprattutto a favore delle nuove generazioni. Siamo in piena emergenza, nel Sud dell’Italia in particolare, ed alle parole occorre far procedere fatti. I più concreti e immediati possibili.
Occorrono poi scelte virtuose da parti di tutti. Soprattutto per ciò che concerne stili di vita improntati ai consumi esasperati ed agli inevitabili, consequenziali, sprechi. È un problema di coscienza prima ancora che di politiche di governo.