La Camera dei Deputati ha approvato la prima normativa nazionale per la promozione e la disciplina del commercio equo e solidale.
Si tratta di un provvedimento molto atteso dalle organizzazioni non profit, che disciplina un’attività che vede coinvolti oltre 5.000 esercizi commerciali e coinvolge cooperative, associazioni ed enti non profit in tutta Italia.
Viene innanzitutto elaborata una definizione di commercio equo. L’articolo 2 lo definisce come “un’attività di cooperazione economica e sociale, svolta con produttori di beni o di servizi di aree economicamente svantaggiate dei Paesi in via di sviluppo organizzati in forma collettiva, allo scopo di consentire, accompagnare e migliorare il loro accesso al mercato mediante accordi di lunga durata“.
L’obiettivo della legge è fornire ai consumatori una maggiore trasparenza circa le procedure del commercio equo e gli attori autorizzati a portare avanti tale attività commerciale.
Per questo motivo viene istituito un Albo delle organizzazioni del commercio equo, al quale sono chiamati ad iscriversi “le società cooperative, i consorzi, le associazioni e gli enti, comunque costituiti senza scopo di lucro e con un ordinamento interno a base democratica” che stipulano accordi con i produttori di beni e servizi dei Paesi in via di sviluppo.
I soggetti che vendono i propri prodotti sotto la dizione “equo e solidale” senza essere iscritti all’Albo saranno sottoposti alle sanzioni dell’Autorità, istituita presso il Mise, preposta a vigilare sull’attività delle organizzazioni e a valorizzare il loro operato.
La legge istituisce anche un Fondo di un milione di euro per il primo anno che finanzierà progetti di promozione del commercio equo nelle scuole ed aiuterà gli operatori con una “copertura fino al 50 per cento degli oneri sociali relativi al personale, costituito da dipendenti, soci lavoratori o mediante altre forme di lavoro previste dalla legislazione vigente in materia, per un massimo di 1.500 euro all’anno per una bottega del commercio equo e solidale e per un periodo non superiore a cinque anni per addetto”.