• Non accennano a diminuire le polemiche sulla riforma delle Banche di Credito Cooperativo. A far discutere, questa volta, è una lettera sottoscritta da nove direttori di Bcc italiane dal titolo “Addio alle Bcc: da società di persone a pseudo società di capitali”. 

    Si tratta di istituti meridionali, provenienti dalla provincia di Salerno, Taranto, Catania e Caltanissetta, la maggior parte dei quali di piccole dimensioni, che si scagliano contro il nuovo sistema della holding unica.
    Nel mirino c’è innanzitutto Federcasse, la federazione del credito cooperativo italiano, colpevole di aver portato avanti l’autoriforma interpellando solamente “i presidenti ed i direttori delle Federazioni regionali e non i direttori delle Bcc che sono quelli che effettivamente conoscono vita e miracoli delle Bcc“.
    credito cooperativoViene imputata a Federcasse una sostanziale debolezza sia dal punto di vista comunicativo che da quello delle competenze della classe dirigente.
    Nonostante possa vantare numeri importanti, con una diffusione capillare del territorio, il mondo del credito cooperativo “si è lasciato bistrattare dal Governo senza la capacità di trasmettere la delusione a soci e clienti“.
    I punti critici della riforma sono la creazione di una holding unica e la norma sul way-out, che consente alle Bcc che non vogliono aderire al sistema dell’unica capogruppo di trasformarsi in una Spa.
    “Se tutta la discussione verte sulla possibilità di una “via d’uscita” – recita la lettera – vuol dire che c’è chi vuole uscire“.
    Il meccanismo del way-out, per come è congeniato, favorisce gli istituti di credito cooperativo di grosse dimensioni. “Non è corretto che, se le grosse Bcc andranno via – scrivono i nove direttori – le più piccole devono restare a portare sull’altare della riforma i propri patrimoni per salvare le Bcc che ne hanno bisogno“.
    In base all’attuale testo del decreto, sarebbero solamente i piccoli istituti a salvare quelli in difficoltà. La proposta dei nove gruppi firmatari del documento prevede, invece, l’abbassamento della soglia patrimoniale della nuova holding (attualmente fissata ad 1 miliardo di euro) e la conseguente costituzione di più gruppi, il che garantirebbe una maggiore e migliore pluralità.