Categoria: Interviste

  • Vincenzo Linarello

    Il Gruppo Cooperativo Goel è una realtà nata nel 2003 nella zona della Locride e della Piana di Gioia di Tauro.
    L’obiettivo del gruppo che raggruppa 9 cooperative sociali, 28 aziende agricole in Goel Bio, un’organizzazione di volontariato ed una fondazione è ripristinare la legalità in un territorio, come quello calabrese, vittima del potere mafioso.
    Goel è attiva in diversi ambiti: dall’agroalimentare biologico al turismo sostenibile, passando per la moda etica ed i servizi sanitari. La cooperativa agisce per lo sviluppo del territorio, cercando di valorizzarne le tradizioni ed il capitale umano.
    A tal proposito abbiamo sentito il presidente del Gruppo Cooperativo Goel, Vincenzo Linarello, che ci parla di cosa vuol dire fare impresa e fare cooperazione in Calabria e come è possibile creare una realtà virtuosa come quella della cooperativa calabrese.

     

    Goel è un insieme di imprese e realtà, ma soprattutto è un soggetto che promuove dei valori, un forte contrasto alla ‘ndrangheta e al caporalato. Quanto è importante tutto questo e quanto si ripercuote quotidianamente sul lavoro di ciascun soggetto coinvolto in Goel, sui soci e quanto tutto questo si trasforma anche in un sentimento di appartenenza alla cooperativa?

    È da un po’ di tempo che noi ci definiamo “una comunità di riscatto”, questa parola, quest’espressione che ci è molto cara ha, io dico di solito, un nome e un cognome: il nome è comunità e il cognome è riscatto. Comunità nel senso che Goel opera in settori molto diversi: sociale, sanitario, turismo, agroalimentare, tessile, moda e abbigliamento. Lo sforzo che stiamo facendo è fare in modo che ogni settore, ogni attività, ogni cooperativa, ogni società, si veda e si senta coinvolta all’interno di una comunità. Goel parte, si sviluppa e cresce sostanzialmente senza investimenti di privati e senza investimenti pubblici alle spalle, tranne rare eccezioni. Questo tipo di realtà non avrebbe potuto crescere se non dentro un forte mutualismo, intanto economico, perché questi settori si sono aiutati l’uno con l’altro nel momento in cui erano in difficoltà e dall’altro lato senza un senso di appartenenza forte che ha fatto in modo di fare quadrato quando ci sono state le aggressioni della ‘ndrangheta, delle massonerie deviate, quando ci sono stati mille ostacoli che in qualche modo intralciano il cammino di chi in Calabria vuole fare le cose per bene. Quindi la parte della comunità è sicuramente un aspetto importantissimo ma se ci si ferma la comunità può diventare anche una lobby. Il cognome, quindi è importantissimo, la comunità per che cosa? A quale fine? Solo per un mutuo aiuto reciproco? No. L’obiettivo è quello di creare percorsi di riscatto in Calabria. Percorsi di riscatto non solo per coloro che stanno dentro il sistema Goel, che ci lavorano, che hanno scommesso il loro futuro diretto ma anche per tutto il resto del territorio. Quindi creare una situazione di affrancamento dalla ‘ndrangheta, dalle massonerie deviate, dal clientelismo, dalla logica delle raccomandazioni, dall’iniquità di questo territorio. La finalizzazione è importante. Quindi, stiamo insieme, ci aiutiamo l’uno con l’altro, facciamo comunità perché siamo uniti in un progetto di riscatto unico.

    Questo progetto di riscatto passa però anche per una grande capacità imprenditoriale che oggi sta avendo un grosso riscontro anche a livello internazionale grazie al vostro marchio Cangiari. Cangiari nasce anche dalla voglia di riscoprire delle tecniche, dei materiali e si sta affermando sempre di più proprio perché parte da dei valori  territoriali e anche dal rispetto delle materie prime e anche delle persone che le utilizzano. Vorremmo capire qual è oggi lo stato dell’arte di Cangiari e quali novità ci aspettano da qui ai prossimi mesi?

    Cangiari sta continuando. Con grande fatica perché è un’iniziativa che richiederebbe, in via ordinaria, dei grossi capitali di investimento, che noi non abbiamo. Però, malgrado ciò, sta andando avanti e sta diventando significativa anche dal punto di vista della tendenza di quello che il mercato ci rappresenta. Noi siamo il primo marchio di moda etica di fascia alta in Italia. Gli obiettivi imminenti del nostro ramo di Cangiari sono quelli, da un lato, di diversificare, quindi oltre che l’abbigliamento donna, siamo appena partiti con il progetto della “sposa etica” di Cangiari e nello stesso tempo anche con la capacità di aggregare esperienze di confezionamento tessile in difficoltà nel territorio per far fare del lavoro conto terzi. Da un lato questo rafforza la filiera produttiva interna e dall’altro crea possibilità di lavoro ad aziende che altrimenti non avrebbero grandi possibilità. L’altro orizzonte, oltre la diversificazione, è quello dell’internazionalizzazione, noi abbiamo bisogno di andare all’estero, abbiamo bisogno di andare in quei mercati dove essere etici ed ecologici è un reale vantaggio competitivo. È difficilissimo perché, ripeto, non abbiamo capitali adeguati per poter fare questi passaggi. Tuttavia il nostro più grande capitale, che è il capitale fiduciario contiamo che possa presto, in qualche modo, aiutarci a raggiungere questi obiettivi. Abbiamo anche in mente di sperimentare forme nuove di capitalizzazione nei prossimi mesi che riguarderanno tutto il gruppo e, quindi, anche lo sviluppo di Cangiari.

    Sulla scia di questa voglia di ricerca e anche di innovare qualche mese fa avete presentato anche il progetto di “campus Goel”, un centro per la ricerca di eccellenze. Cosa è necessario per rendere questo centro sempre più forte e attrattivo e quali sono gli obiettivi che vi ponete di raggiungere nel breve periodo?

    Intanto abbiamo raccolto tante idee e selezionato un gruppo di idee veramente eccezionali, a dimostrazione di come i calabresi hanno una capacità di innovazione e genialità che non ha veramente nulla da invidiare. Queste idee le stiamo accompagnando, quasi tutti vogliono, in qualche modo, aggregarsi al gruppo Goel. Goel sempre di più si candida quindi ad essere quasi un hub di idee etiche ed innovative in Calabria. Dall’altro lato vediamo che l’intuizione era giusta, cioè da un lato raccogliere, dare fiducia a chi aveva delle idee etiche ed innovative e dall’altro dotarlo di strumenti che consentano di poter sviluppare la propria idea senza dover pensare ad altri mille problemi come quelli amministrativi, di sviluppo, finanza, mercato, che sono le cose contro cui una piccola iniziativa, seppur geniale, si scontra e si infrange. Stiamo proseguendo questo percorso, certo, questo progetto ha ancora bisogno di aiuto perché possa diventare sostenibile solo con le idee che con la cantiera. Stiamo già vedendo, però, che l’intuizione era veramente azzeccata. Proseguiremo in questo senso, continueremo ad essere un punto di riferimento e, possibilmente, anche un collettore per i calabresi etici ed innovativi.

    Parlando di prospettive, oggi abbiamo uno spaccato di Goel molto chiaro: abbiamo il successo di Cangiari nella moda, Goel Bio che sta iniziando ad essere una realtà sempre più importante sia per la trasformazione di alcuni prodotti, sia per la commercializzazione di altre specialità calabresi spesso sottovalutate. Possiamo sapere, in un’ottica di visione di questo gruppo, un sogno o un progetto su cui state già lavorando o che state immaginando adesso e sperate di veder realizzato da qui a cinque anni o a più lungo periodo?

    Il malaffare spesso si giustifica, nei nostri territori, col fatto che è una dolorosa e necessaria realtà, “loro” dicono: se non ci fossimo noi a muovere un po’ di economia qui non ci sarebbe nulla. Assolutamente no! Ci sarebbe tanto di più e l’esatto opposto della ‘ndrangheta, cioè l’etica, se diventa vincente dimostra che è un grande imbroglio quello che sta dietro questo tentativo di legittimarsi da parte della ‘ndrangheta.

    Noi attualmente miriamo a una crescita quantitativa, cioè dobbiamo rafforzare queste iniziative e farle diventare sempre più robuste, sia dal punto di vista dei risultati economici ma ancora di più dal punto di vista dei risultati occupazionali senza che questo faccia perdere minimamente la coerenza e la carica etica di queste iniziative. Questo ha un duplice valore: oltre, ovviamente, al fatto che crea economia, sviluppo e lavoro, vogliamo dimostrare, inequivocabilmente a tutti che l’etica, oltre che giusta, unita l’innovazione può diventare la chiave di volta della nostra terra. L’etica oggi ha bisogno di essere rilegittimata come un’alternativa seria e concreta per tutti. Non può essere solo un’alternativa per pochi eroi, che magari vengono applauditi, ammirati. Noi dobbiamo dimostrare che è una cosa su cui una regione come la Calabria, se ci punta, può veramente cambiare il suo futuro. Questo, capisci bene, che implica la delegittimazione del suo opposto. Il malaffare spesso si giustifica, nei nostri territori, col fatto che è una dolorosa e necessaria realtà, “loro” dicono: se non ci fossimo noi a muovere un po’ di economia qui non ci sarebbe nulla. Assolutamente no! Ci sarebbe tanto di più e l’esatto opposto della ‘ndrangheta, cioè l’etica, se diventa vincente, dimostra che è un grande imbroglio quello che sta dietro questo tentativo di legittimarsi da parte della ‘ndrangheta.

    Parlando proprio di comunità e di supporto all’economia locale, qualche anno fa, precursori anche in questo, avete cercato di creare un esperimento, chiamandolo Aiutamundi, che era una sorta di circuito del credito parallelo, a metà tra una Banca del Tempo e un vero e proprio circuito parallelo come oggi può essere Sardex o come alcune piattaforme di sharing-economy che si stanno affermando. Dopo questi anni, e dopo quel tentativo, secondo te è arrivato il momento per la Calabria di sviluppare un modello di economia che faccia anche breccia su nuovi circuiti e dia anche più flessibilità alle nostre realtà, compresse nei canoni bancari sempre più asfissianti?

    Se noi andiamo a vedere una zona come la Calabria vediamo uno dei più grandi paradossi dell’economia di mercato: da una parte c’è una marea di persone disoccupate e dall’altro c’è una marea di bisogni insoddisfatti. Teoricamente una grande domanda e una grande offerta. Tuttavia questa domanda e quest’offerta non si incontrano perché in mezzo non c’è la liquidità.

    Io credo che il modello che noi abbiamo sviluppato, quello di Aiutamundi, sia un modello di grandissima efficacia, benchè la sperimentazione che noi abbiamo potuto condurre era una piccola sperimentazione. La nostra era un’attività di sviluppo di un modello più che una vera e propria sperimentazione. Tuttavia noi siamo riusciti a creare qualcosa di unico: la possibilità di avere una moneta alternativa senza avere una moneta alternativa. Il sistema di Aiutamundi fa a meno del denaro contante e utilizza l’Euro, non è una “divisa” diversa dall’Euro. È perfettamente integrata nella normativa fiscale e giuslavoristica nazionale. Noi la stiamo proponendo ma abbiamo bisogno di qualcuno con le spalle molto più forti delle nostre perché la possa lanciare e possa creare un’adesione di una massa critica tale da rendere il sistema perfettamente usabile e sostenibile. Siamo convinti che questa sia la strada giusta perché oggi ci sono delle storture che il mercato crea. Se noi andiamo a vedere una zona come la Calabria vediamo uno dei più grandi paradossi dell’economia di mercato: da una parte c’è una marea di persone disoccupate e dall’altro c’è una marea di bisogni insoddisfatti. Teoricamente una grande domanda e una grande offerta. Tuttavia questa domanda e quest’offerta non si incontrano perché in mezzo non c’è la liquidità. Questa è una stortura evidente del mercato. In attesa di trovare delle soluzioni più strutturali un’iniziativa come quella di Aiutamundi diventa un correttore, un correttivo di grande efficacia di questa stortura.

    Vorrei chiudere con un’ultima domanda: un consiglio da un imprenditore come Vincenzo Linarello a chi oggi vuole fare cooperazione in Calabria e magari abita in zone rurali e vede poche opportunità. Un consiglio pratico ed uno per quanto riguarda la filosofia con cui si deve collaborare e cooperare per far crescere un territorio.

    Io riassumerei tutto in due cose. La prima è non stare da soli, stare insieme. In Calabria non si va da nessuna parte da soli. Quindi da un lato aggregarsi, dall’altro bisogna essere i migliori, in Calabria non ci sono vie di mezzo. In qualunque ambito uno vuole andare a cimentarsi se ci si accontenta di competenze mediocri non si va da nessuna parte, per qualunque professione, qualunque lavoro, qualunque cosa si voglia fare. Quindi aggregarsi ed essere i migliori ed ovviamente poi fare delle scelte chiare. Io dico che o si è veramente etici o essere un po’ etici, in questa terra, non è una scelta vincente.



  • A_PA7482La Scuola Open Source è un progetto che sta tanto facendo parlare di sé, per il dirompente valore innovativo sia a livello sociale e culturale che tecnologico racchiuso all’interno della sua essenza. Per conoscere meglio questo progetto, che ha già avuto tanti riconoscimenti e ha suscitato interesse in tanti attori della vita economica del Paese, abbiamo intervistato Alessandro Tartaglia, designer barese, che fa parte del gruppo che ha ideato #SOS e che sta portando questa idea a diventare un luogo a disposizione della comunità.

    Tutti abbiamo idea di una scuola classica, qual è e come nasce l’idea alla base di questa scuola? E qual è il concetto di Open Source che avete implementato?

    È difficile dire come nasca un’idea: ci nutriamo continuamente di stimoli e idee, poi li ricombiniamo sviluppandone altre, frutto della contaminazione tra quello che abbiamo già assimilato e quello che i continui stimoli esterni ci suscitano.

    In questo specifico caso credo che gli “ingredienti” alla base di SOS siano i seguenti:

    • la scuola Bauhaus (che, avendo un bg da designer, abbiamo studiato e ristudiato)
    • la storia di Maria Montessori
    • la visione di Adriano Olivetti
    • l’esperimento della Comunità di Roycroft

    Ma anche “qualcosa di più personale”:

    • l’esperienza fatta da me a Urbino all’ISIA nei 2 anni della specialistica
    • l’esperienza diretta di insegnamento fatta per 3 anni al Politecnico di Bari e quella fatta andando in giro per l’Italia in varie università e scuole per parlare di progetto.

    Ed elementi frutto dell’interazione con gli altri:

    • le persone che abbiamo incontrato lungo il cammino
    • due “prototipi”: “x – una variabile in cerca d’identità” e “xylab”, entrambi realizzati grazie alla policy regionale “Laboratori dal Basso” promossa dall’Agenzia Regionale Tecnologia e Innovazione e da Bollenti Spiriti.
    • l’esperienza in ambito informatico legata al mondo dell’hacking e della condivisione della conoscenza finalizzata al bene comune (open source)
    • l’esperienza in ambito making

    Tutte queste cose, assieme al confronto continuo con un gruppo di lavoro che ogni giorno continua a crescere, sono il substrato.

    Credo che ci sia una forte visione politica del mondo e della società.

    Proprio ieri leggevo l’intervista a Paul Mason di Channel 4 (emittente britannica) su Linkiesta a proposito dei “Panama Papers”. Credo che lui abbia descritto la situazione molto bene.

    L’innovazione è sempre sociale altrimenti è speculazione sull’ignoranza degli altri.

    La conoscenza è magica, se la condividi aumenta.

    L’educazione costruisce il futuro, per questo se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo iniziare da qui.

    Non più evangelizzatori di visioni, ma abilitatori di ecosistemi. Questa è la grande opportunità.

    Condivisione di conoscenza e professionalità. È questo il futuro per far crescere l’Italia?

    A_PA6920Mettiamo subito in chiaro una cosa, SOS non vuole dare risposte a nessuno. Non crediamo in quel tipo di soluzioni: delegare la risoluzione di un problema significa non affrontarlo.

    Piuttosto direi che SOS nasce per fare delle domande, anche scomode. A tutti.

    Una di queste domande è sicuramente “Può la condivisione della conoscenza (e quindi della professionalità) migliorare il paese dove viviamo?”

    In tal senso abbiamo molti esempi che ci spingono in questa direzione, in svariati ambiti, dal sistema operativo Linux, alla storia de “la cura opensource” di Iaconesi, ai FabLab, alla sharing economy.

    Viviamo una fase mai vista prima dall’umanità, “perché la nuova economia fondata sulla conoscenza riduce la necessità del lavoro e la scarsità dei beni. E se un bene non è più scarso, i prezzi scendono fino a che il bene non è più commercializzabile. È la prima volta che accade nella Storia. È una bella cosa per l’umanità, ma una pessima notizia per il capitalismo”. (Sto citando l’intervista che vi ho segnalato poco più su).

     

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    In anteprima Alessandro ci mostra dove avrà sede la Scuola Open Source.

    La Scuola Open Source ricorda le botteghe artigiane per filosofia, ma ha al suo interno una grande carica innovativa, come possiamo sintetizzarla in tre o quattro concetti fondamentali?

    L’innovazione è sempre sociale altrimenti è speculazione sull’ignoranza degli altri.

    La conoscenza è magica, se la condividi aumenta.

    L’educazione costruisce il futuro, per questo se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo iniziare da qui.

    Non più evangelizzatori di visioni, ma abilitatori di ecosistemi. Questa è la grande opportunità.

    Se poi volete approfondire, abbiamo scritto di recente una sintesi del progetto per la rivista della Facoltà di Design dell’Università di San Marino, qui trovate l’articolo.

     

    Dietro un progetto così grande ed ambizioso c’è una bella squadra. Quali sono stati i valori che vi hanno fatto unire e quali sono gli aspetti quotidiani che vi fanno pensare di andare nella giusta direzione?

    A tal proposito ho un breve testo che vi invito a leggere per comprendere tutti questi aspetti.

     

    Tra cinque anni cosa sarà #SOS?

    IMG_5179Credo che l’approccio predittivo sia intrinsecamente sbagliato. Questo non significa non avere obiettivi, anzi, tutt’altro: noi vogliamo cambiare il mondo.

    Il senso è che SOS non è il fine, ma il mezzo, per provare a fare la nostra parte in questo tempo così appassionante. E come lo è per noi, speriamo che lo sarà per moltissimi altri.

    In ogni caso per rispondere alla domanda immaginiamo una comunità coesa ed in continua evoluzione; immaginiamo di collaborare con le istituzioni per poter dare una mano concreta allo sviluppo del nostro territorio e con i privati per arrivare a creare una salda rete tra piccole e medio imprese, anima del nostro territorio.

     

    E se dovesse scegliere il primo obiettivo da raggiungere con la scuola quale sarebbe?

    Possiamo dirla con le parole di Kevin Lynch, che fu professore di urbanistica al MIT di Boston, in “L’immagine della città” (1972): “non vi è alcun risultato finale, solo una successione continua di fasi”.

    Per questo più che di obiettivi forse ha senso parlare di “tappe”, come se il nostro fosse un viaggio.

    La nostra prima “tappa” sarà XYZ, il laboratorio in cui la stessa SOS verrà co-progettata, secondo una logica cooperativa e open source, da docenti, staff e partecipanti.

    Quello che vogliamo fare, inizialmente, è dimostrare che il metodo da noi messo a punto, in cui crediamo e sul quale abbiamo speso tante energie, funziona e bene, e che, quindi, su questo metodo, è possibile costruire, innestare e sperimentare ulteriormente.

     

    Bandi vinti e tanti riconoscimenti per l’idea, ma c’è un interesse concreto e collaborativo anche da parte del mondo delle imprese e da parte della società civile?

    Al momento, considerando che siamo neo-costituiti, che non abbiamo ancora “le chiavi di casa” e che i bandi vinti ancora non si sono trasformati in fondi reali, direi che l’interesse che ci stanno tributando aziende, PA e cittadini è sorprendente, come si evince da questo video, realizzato durante il tour fatto a novembre 2015, durante il bando CheFare.


  • blockchain-grisorio

    Di Blockchain e Bitcoin ormai si parla tanto, sia in ambito Fintech che sociale, poiché la flessibilità di questa tecnologia e della filosofia alla base del processo offre numerose possibilità di applicazione per innovare in diversi settori. Così, per capire meglio di cosa si tratta e quali sono le opportunità e i rischi derivanti da tale tecnologia, abbiamo chiesto al presidente di Bitcoin Foundation Puglia, l’avvocato Giuseppe Grisorio, di spiegarci in maniera semplice e diretta cos’è la Blockchain technology e come questa potrà far evolvere il settore finanziario, quello sociale e della raccolta fondi.

    Innanzitutto, cos’è la blockchain e perché oggi se ne parla così tanto?
    Nel sistema di scambi convenzionale che oggi adoperiamo siamo necessariamente costretti a riporre fiducia in un ente centrale, che funziona da intermediario e che possa garantire, dietro pagamento di un prezzo, la genuinità della transazione. Basti pensare al ruolo svolto dalla Zecca dello Stato e dalle Banche  centrali rispetto alla produzione, immissione e certificazione della moneta.

    Una banca infatti, funzionando da intermediario, tiene traccia nel proprio registro degli spostamenti di capitale nei vari conti correnti e li aggiorna di conseguenza. Ma questo sistema, oltre ad avere un alto prezzo economico e sociale, non è esente da errori, omissioni, manomissioni o truffe.

    Nel sistema di pagamento del bitcoin la valuta viene trasferita direttamente da un utente ad un altro, senza passare da un intermediario, anche perché il btc è blockchain-grisoriola prima espressione di moneta senza Stato. Ma dato che in rete abbiamo a che fare con anonimi, come possiamo essere sicuri che non stiano provando a truffarci?

    Ecco che si comprende il valore della blockchain. In un sistema decentralizzato la soluzione consiste nella condivisione delle transazioni, che sono rese pubbliche, vale a dire con la presenza di un unico registro storico ed informatico condiviso tra gli utenti. Il tutto è coperto e garantito da precise regole matematiche, che rendono impossibile modificare arbitrariamente un singolo valore senza invalidare l’intero storico delle transazioni. Le stesse infatti sono ordinati cronologicamente ogni 10 minuti circa e inserite in un blocco , che ne rappresenta la marcatura temporale e quindi le colloca in un preciso momento storico, detto timestamp.

    Il timestamp è chiamato anche blocco e la catena dei timestamp successivi prende il nome di blockchain.

    Oggi se ne parla così tanto perché dopo un momento di scetticismo iniziale si è compresa l’enorme potenzialità di questo protocollo informatico e gli innumerevoli e innovativi sviluppi, ponendo le premesse per un potenziamento del cd. IOF (internet of things).

    Qual è l’aspetto innovativo di questa tecnologia?
    L’aspetto innovativo è dato dalla decentralizzazione nella tenuta di registri contabili, che quindi seguono una logica peer-to-peer ed informatica. Lo sforzo per la corretta tenuta del registro bitcoin, ad esempio, richiede un enorme calcolo computazionale per risolvere i problemi e le funzioni matematiche che ne garantiscono la genuinità e lo proteggono ma manomissioni, falsificazioni e attacchi a doppia spesa, pertanto i vari nodi che formano questa rete devono concordare circa l’ordine delle transazioni, sviluppando un vero e proprio consensus.

    Ma la blockchain non serve solo per trasferire i bitcoin. E’ infatti possibile garantire la transazione di scambi economici, di merci, serve a tutelare la proprietà intellettuale di un contenuto online, può porsi qualche strumento per tutelare il rispetto dei contratti tra aziende, le fatture, le opere d’arte, il tracking dei diamanti e anche l’elezione dei rappresentanti politici.

    Potenzialmente ogni settore dove ci sia un terzo giudice/notaio che garantisce una transazione, o una proprietà, può essere trascritto sulla blockchain senza possibilità di errore o manipolazione, fornendo una marcatura temporale garantita da precisa regole matematiche.

    La possibilità di decentralizzare la fiducia consente di costruire governance al di sopra e oltre le piattaforme monopolistiche già costruite. In questa maniera invece di confidare in un ente centralizzato c’è la possibilità di pensare a modi di costruire governance in maniera distribuita.

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    Com’è regolata la blockchain e dove bisogna ancora migliorare nella sua regolamentazione?
    La blockchain non è regolata nel senso giuridico/normativo del termine, in quanto il lavoro è fatto volontariamente da soggetti sparsi per il globo(cd. miners) che partecipano alla gara computazionale sperando di risolvere un blocco della blockchain e quindi incamerare la relativa ricompensa(allo stato attuale 25 btc, circa 9000€!). Le regole che segue, conosciute da chiunque voglia partecipare, sono quelle del protocollo informatico su cui si basa, e che possono essere modificate solo con il consensus del 50%+1 della potenza di calcolo globale.

    Dalla sua nascita assieme a Bitcoin ad oggi, in che fase di sviluppo tecnologico ci troviamo?
    Avanzata ma ancora non completa. Profonde sperimentazioni sono state fatte per leggere meglio all’interno dei singoli blocchi, per poter inserire informazioni aggiuntive ad una transazione senza invalidarla, quasi a voler “firmare” un messaggio. La stessa logica alla base della blockchain permette utilizzi in vari settori della vita sociale, pubblica ed istituzionale di una comunità. L’ecosistema bitcoin è davvero vario e comprende diversi tipi di attori. Inoltre il protocollo btc, che è completamente open-source, permette agli sviluppatori di proporre modifiche al sistema e le stesse vengono implementate se raggiungono il necessario consensus.

    La blockchain può generare un grande cambiamento nei mercati finanziari, ma quali ricadute reali può avere in un Paese come l’Italia?
    Enormi. Un sistema decentralizzato ed informatico come quello appena descritto, applicato al mondo dello scambio di valuta, permetterebbe una tracciabilità assoluta e quindi una completa eliminazione dell’evasione fiscale, che sappiamo tutti quanto danno arreca al nostro paese, così come un controllo da parte dell’opinione pubblica su come e dove vengono spese le nostre tasse.

    Inoltre si potrebbe pensare di trascrivere in questa maniera i vari passaggi di proprietà di un immobile, sostituendo in questo modo tanto il notaio quanto i registri immobiliari e le varie conservatorie che sottraggono risorse all’apparato amministrativo dello Stato(questo però a patto di modifiche legislative).

    Lo stesso criterio si potrebbe applicare ai sistemi elettorali: un domani piuttosto che andare al voto con una tessera elettorale potrebbe esserci fornita semplicemente una chiave crittografica, ed il nostro voto verrebbe registrato in maniera anonima sulla blockchain per confluire infine nel risultato finale. Un risparmio enorme di denaro, tempo e risorse!

    Lei è tra gli entusiasti o tra gli scettici? Qual è l’approccio corretto con cui guardare a questa  tecnologia?
    Personalmente sono uno scettico entusiata! Mi spiego: le premesse e le garanzie offerte dalla tecnologia descritta sono degne di nota e studio, a patto che le condizioni di onestà dei nodi restino le stesse e non ci sia qualche tentativo lobbistico di modificare lo stato dell’arte. Pur estremamente complicato da un punto di vista informatico, non è però impossibile. Resta l’utilità teorica di un attacco del genere: che interesse avrebbe un aggressore a distruggere la tecnologia blockchain?

    L’approccio corretto cui guardare questa tecnologia è quello consueto: scetticismo iniziale, studio intermedio, comprensione finale. Sono all’esito di questa procedura si potrà correttamente decidere se e quanto investire in btc e nella sottesa blockchain. Se però molti istituti finanziari, grandi banche e fondi di investimento, anche italiani, stanno investendo sempre più risorse nello studio e nello sviluppo evidentemente non sono il solo a vedere potenzialità e futuro per questo tipo di tecnologia.

     

    12342644_787952408016882_4750779134821116854_nGiuseppe Grisorio

    Avvocato, si occupa dello studio critico del bitcoin e delle criptovalute, della blockchain e degli smart contracts.

    Ha contribuito alla traduzione e pubblicazione di diverse guide e contenuti in lingua Italiana sull’ecosistema Bitcoin, così come ha fornito il suo apporto per la stesura e l’analisi di diverse tesi di laurea in materia.

    Ha organizzato convegni e incontri sul tema con il riconoscimento del locale Ordine Forense. Attualmente si occupa di sviluppare progetti formativi per professionisti del settore con l’Università degli Studi di bari.

    E’ membro della Bitcoin Foundation Italia nonché fondatore e presidente della Bitcoin Foundation Puglia.


  • urban trees management

    Di cosa si occupa la vostra cooperativa e quando è nata l’idea di partecipare a Coopstartup?

    La nostra cooperativa si chiama U.T.M. (Urban Trees Management) e ci occupiamo della gestione dell’albero urbano, che va dall’impianto di nuovi boschi urban trees managementsperimentali urbani fino alla manutenzione, quindi la potatura e la valutazione della stabilità. Infine ci occupiamo anche della formazione degli operatori che vanno ad occuparsi della manutenzione del verde.
    Non siamo mai stati in forma associata e lavoravamo singolarmente, sapevamo che una forma societaria sarebbe stata un valore aggiunto. Come è uscito il bando Coopstartup abbiamo pensato che sarebbe stata l’idea giusta.

    Perché avete scelto la forma cooperativa per avviare una startup e non un altro tipo d’impresa?

    Perché ritenevamo fosse la forma migliore per unire le nostre competenze e anche a livello legale ci siamo trovati bene, soprattutto ci dà modo di far collaborare più professionalità e di poterci ampliare a seconda delle esigenze e per tutti i tipi di lavori per i quali noi siamo più carenti e possiamo avere la forza di altri professionisti.

    In cosa pensate possa aiutarvi essere inseriti all’interno di un progetto Coopstartup?

    Sicuramente è una grandissima vetrina e siamo già stati supportati fin dall’inizio con la formazione post-bando e questo ci ha dato le basi per creare la nostra cooperativa ed il nostro business plan. Sappiamo che ci aiuteranno sia nella costituzione che nella costruzione vera e propria della cooperativa.

    Quali sono state le difficoltà principali che avete incontrato nel momento dell’apertura della startup?

    Approcciarsi con un business plan, con un business model canvas ed indagini di mercato, per chi è alla prima esperienza come noi, è un po’ complicato. Studiando un poco e con l’aiuto di Legacoop siamo venuti a capo della situazione.

    Se poteste dare un consiglio ad un ragazzo che vuole aprire una startup, che tipo di consiglio gli dareste?

    Gli diremmo di crederci e allo stesso tempo di non farsi trasportare troppo dall’entusiasmo. Bisogna lavorare sodo, ma i risultati sicuramente arriveranno.


  • lavoro nero agricoltura

    È dal lontano 1954, denuncia Camillo Nola presidente di Confcooperative Calabria, che il consorzio di bonifica Sibari-Crati è commissariato. Un ente che avrebbe dovuto fornire, attraverso soldi pubblici, un servizio idrico efficiente per le imprese agricole della Sibaritide (Cosenza) è stato, in realtà, uno strumento di lottizzazione politica e di clientela.
    A questo si aggiungono gli enormi debiti contratti fino ad arrivare alla più recente procedura di liquidazione.
    camillo nola confcooperative calabriaCon la legge regionale n. 11 del 2003 la Regione Calabria ha costituito nuovi consorzi gestiti dalle rappresentanze agricole, trasferendo a queste ultime, insieme alla gestione, anche i debiti contratti fino a quel momento.

    L’articolo 23 della normativa regionale stabilisce che le imprese agricole e i cittadini con terreni agricoli debbano pagare i debiti indipendentemente da un eventuale beneficio diretto e che tale debito contratto dal vecchio consorzio verrà estinto attraverso un mutuo. Nel frattempo è intervenuta anche la giustizia tributaria con sentenze che in alcuni casi hanno penalizzato pesantemente gli agricoltori, non riuscendo a venire a capo di una legge poco chiara.
    Una vicenda, quella dei consorzi di bonifica, che ricorda per certi aspetti lo scandalo Mose, con enti pubblico/privati ed amministratori pubblici coinvolti. La questione, però, non è ancora giunta tra le mani dei magistrati.
    La richiesta di Nola è che la Procura della Repubblica faccia chiarezza sui fatti esposti, tutelando gli agricoltori ed i cittadini calabresi.

    Vi proponiamo di seguito l’intera intervista di Camillo Nola rilasciata all’ufficio stampa di Confcooperative Calabria.

     

    Presidente Nola, l’agricoltura sembra vivere di sovvenzioni pubbliche, ma spesso gli agricoltori rispolverano l’atavico lamento come se tutto fosse negativo…

    Il settore agricolo, nel mondo, ottiene da sempre gli incentivi pubblici perché il privato da solo non avrebbe convenienza economica, a causa dei tempi lunghi di rientro e dei copiosi rischi climatici; inoltre la sicurezza alimentare, intesa come garanzia di nutrizione, è sempre stata una relazione pubblico-privata strategica. L’ambiente da preservare è una priorità perché le risorse come la terra e l’acqua sono sempre più limitate e le imprese agricole svolgono un ruolo decisivo.

    Sì, ma gli agricoltori non vogliono pagare l’acqua.

    Falso. Il servizio di irrigazione va pagato ma l’acqua deve essere pulita, non devono pulirla le nostre imprese agricole associate, investendo ingenti risorse negli impianti di filtrazione.
    Chi ha un buon servizio e non lo paga sbaglia e se ne assume la responsabilità. Comunque non ci interessa rappresentare questi agricoltori. Detto questo, il tema dell’uso agricolo dell’acqua in provincia di Cosenza è strettamente legato ancora ad un fardello che dura dal 1954, che oggi è un ulteriore problema che si aggiunge ai mercati agricoli in crisi.

    Il consorzio di bonifica Sibari-Crati in liquidazione?

    Esatto. La storia si può così sintetizzare: il consorzio in questione, commissariato dal 1954, dopo l’ultimo presidente agricoltore, il rimpianto Camillo Toscano, ha

    gestito nel passato attività tra le più disparate con soldi pubblici, dalle grandi opere come le dighe, alle chiese, alla forestazione, oltre agli impianti irrigui. In verità, è sempre stato considerato lo strumento della politica per fare clientela o compiacenza ai fini elettorali.

    Si riferisce anche agli stipendi e consulenze degli ultimi commissari Gargiulo e Bilotta?

    Su questo specifico episodio rispondo che in Calabria la gente si indigna sempre meno, l’indolenza e la rassegnazione sono germi peggiori rispetto alla disperazione.
    Come si fa ad accettare che vengano letteralmente buttati al vento centinaia di migliaia di euro annui per gestire un ente inutile ed inerme distrutto dalla politica, che non è operativo da decenni? Senza peraltro pubblicare i bilanci in barba alle leggi sulla trasparenza e anticorruzione. Non abbiamo contezza dei rendiconti, forse neanche esistono, vorrei chiederlo alla Corte dei Conti regionale.
    Questi commissari li abbiamo dovuti pagare noi attraverso le cartelle di Equitalia.
    In virtù del potere impositivo, gli agricoltori e tutti i cittadini in possesso di un terreno agricolo sono stati costretti a pagare, spesso ignavi, un obolo specifico a disposizione della politica per ottenere consenso, per costruire e alimentare clientele e compiacenze.
    Un vero e proprio finanziamento illecito e coattivo in favore dei politici calabresi di turno al governo.

    Poi, la legge 11 del 2003 ha cambiato gli scenari.

    Dal 2003 la situazione è cambiata. La politica ha cercato di mettere una toppa furba e al contempo maldestra al problema chiudendo la partita del debito chiudendo la partita del debito, dubbio e in parte “fantasioso”, oppure relativo a progetti finanziati da Ministeri, Agensud, Regione, debito comunque non attinente all’agricoltura.
    In che modo? Cercando di rifilarlo agli agricoltori, perimetrando i nuovi bacini dei Consorzi senza criterio tecnico, ma solo in base ai collegi elettorali, e proponendo, in cambio, alle rappresentanze agricole l’occasione di restituirgli la gestione, attraverso nuovi soggetti consortili, che sarebbero partiti però con il fardello dei debiti accumulati dalla politica nei precedenti 50 anni. Debito quantificato inizialmente in 36 mln, accollato per metà alla regione e per l’altra metà agli agricoltori, per i successivi venti anni, più interessi.
    In pratica, si trasferì per legge la massa del debito “confusa ed indefinita” di un Consorzio distrutto e ininterrottamente commissariato dal 1954, a Consorzi nuovi di pacca gestiti dalle rappresentanze agricole. E a maggiore garanzia delle banche, che dovevano finanziare con un mutuo l’operazione di saldo e stralcio con i fornitori, si inserì nel testo una novità legislativa unica in Italia per i Consorzi di bonifica. All’articolo 23, è scritto che questa tassa deve essere pagata indipendentemente da un eventuale beneficio diretto e che serve per fini “istituzionali”, mentre il vero obiettivo era di costituire flussi certi per pagare le rate di mutuo contratte per un debito altrui. Il resto lo avrebbe fatto Equitalia in virtù del potere impositivo degli Enti consortili.
    Questo patto scellerato fu contestato subito dalle singole imprese agricole nelle commissioni tributarie e da Confagricoltura Cosenza pubblicamente;

    Cosa è cambiato nel 2010?

    Regione Calabria logoL’arroganza del potere arriva al culmine quando, all’indomani dell’insediamento di Bilotta, nominato dal centrodestra che allora governava la Regione, si riaprì all’improvviso la partita del debito; lo stesso commissario dichiarò che il debito era almeno di 156 mln di euro, non più di 36 mln.
    A tale proposito sarebbe utile pubblicare le audizioni, oggi secretate, della commissione di vigilanza del consiglio regionale dell’epoca, con i due commissari che di fronte raccontavano la storia del disastro. In quelle carte ci sarebbero stati gli estremi per portare tutto in Procura, perché si stava scrivendo ufficialmente la storia dello “scandalo Mose” della Calabria.
    Preciso, che in diverse occasioni Gargiulo informò la rappresentanza agricola che durante la sua gestione si era arrivati ai 36 mln attraverso trattative di saldo e stralcio con i fornitori, perché in alcuni casi riuscì agevolmente ad ottenere cospicui sconti.
    In ogni caso, resta paradossale assistere a due tesi completamente contrapposte senza arrivare ad una conclusione amministrativa supportata da un bilancio trasparente e soprattutto definitivo.

    Nel frattempo le commissioni tributarie cominciavano a dare torto agli agricoltori.

    Le sentenze si rispettano, non si commentano. Il problema ha origine dai tempi lunghi della giustizia tributaria (indeterminabile il tempo per ottenere una sentenza di secondo grado), perché non si arriva mai a decidere sul tema sostanziale della anticostituzionalità e dalla circostanza che nel frattempo le azioni esecutive possono proseguire arrecando gravi danni alle imprese anche in termini di merito creditizio, se resistenti in giudizio.
    Comunque, restano il conforto della copiosa giurisprudenza anche con sentenze di primo grado passate in giudicato, e la nostra estrema fiducia nella giustizia nei vari gradi di giudizio.

    Un pozzo senza fondo, ed un sistema contorto che la giustizia tributaria non risolve in modo definitivo, quindi..

    L’indignazione verso l’entità degli stipendi o le consulenze dei commissari è un aspetto grave ma pure superficiale della vicenda. Il problema non si può risolvere nel breve solo attraverso le commissioni tributarie, e la politica finora non ha avuto la forza di affrontare le conseguenze di questo scandalo, potenzialmente deflagrante, quindi bisogna elevare il livello del problema su un altro piano. Affrontare la situazione del Consorzio Sibari-Crati è come cambiare la Calabria, rivoltarla, pertanto si deve afferrare il toro per le corna.
    Nelle sedi opportune, solleciteremo un intervento delle Autorità competenti, per vagliare in profondità le gestioni economico finanziarie di questi decenni e contemporaneamente metteremo alla prova i nuovi consiglieri regionali.

    In che modo intende coinvolgere il consiglio regionale?

    Se approveranno gli iter per consentire ai nuovi consorzi di difendersi meglio in giudizio senza prima cambiare l’articolo 23, che è ingiusto prima che anticostituzionale, faremo battaglie pubbliche, coagulando altre attività parallele di protesta che germogliano.
    Presto incontrerò il Presidente Irto per informarlo sulle nostre iniziative e per chiedere un suo intervento. Conto sul fatto che è un giovane e non ha scheletri nell’armadio.
    L’agricoltura non può fare da bancomat alla politica, né ora né mai.

    Ma adesso i nuovi consorzi di bonifica sono gestiti dagli agricoltori.

    Sbagliato. Sono gestiti da uomini della Coldiretti, che è un organismo che rappresenta solo una parte degli agricoltori. A questo proposito, se provassero a gestirli lavoro nero agricolturasenza la certezza dell’articolo 23, sono certo che avrebbero l’opinione pubblica a favore;
    inoltre dovrebbero garantire gli investimenti per consentire di estendere il servizio irriguo alle imprese agricole che da anni lo pretendono.
    Dai dati in nostro possesso si parla complessivamente di un 8% di aree irrigue contro il 92% di asciutto. Ci sono casi documentati nella piana di Sibari di aziende, coperte dal servizio per un 20%, che attingono l’acqua dai pozzi che costano in proporzione 10/12 volte, il vile tributo per ogni ettaro e che avrebbero enorme interesse ad avere un servizio irriguo più esteso.

    Insomma volete interrompere i numerosi giochi di potere in corso…

    Nel passato agricoltori e cittadini hanno subito questa tangente occulta per finanziare le schifezze della politica, oggi si finanziano gli Enti gestiti da Coldiretti, che fatica a comprendere che i consorzi di bonifica sono una vera impresa economica, che come tale vanno gestiti, riorganizzando la pianta organica con criteri di efficienza e competenza e, soprattutto, spingendo sugli investimenti poiché ci sono ancora infrastrutture obsolescenti dell’epoca di Mussolini.
    Senza parlare del vorticoso giro di affari (parliamo di decine di migliaia di cause) che questa situazione genera a favore del settore legale a Cosenza; e dell’impatto drammatico sul lavoro delle Commissioni tributarie che sono oramai paralizzate.
    Bisogna uscire da questo ginepraio, che condiziona pure l’organizzazione del lavoro a livello di giustizia tributaria. Esistono gli strumenti normativi, ma devono essere applicati.
    Senza una giustizia tributaria rapida l’economia complessiva nel cosentino affonda.

    Cosa ci rimane di questa vicenda tutta calabrese?

    Rimane la triste constatazione che in Calabria forse solo attraverso la giustizia penale si potranno ottenere le soluzioni ai problemi e che la politica finora non è riuscita a battere colpi, a reagire, ad individuare quelle sacche persistenti che tolgono forza e futuro alla regione.

    Ma il governatore ha recentemente sostituito il commissario, dandogli specifici compiti.

    Abbiamo fiducia nel Governatore, ma non conosco l’attuale nominato, saremo ben lieti di assistere ad una svolta; però nelle premesse della delibera di giunta abbiamo letto che almeno due dirigenti regionali hanno rifiutato l’incarico motivando con nette considerazioni la scelta.
    La portata di questa vicenda è tale per cui occorrerebbe un commissario tipo Giorgio Ambrosoli, un profilo di eroe borghese difficile da replicare. Non basterà, quindi, limitarsi alla verifica della congruità dei costi dei commissari precedenti, va affondata con determinazione la lama nella palude del “piccolo Mose”, portando al più presto le carte in Procura della Repubblica, cosa che finora non ha voluto fare nessuno, o perlomeno non se ne ha conoscenza.

    Perché solo Confcooperative e Confagricoltura stanno facendo questa battaglia?

    consorzio di bonificaLa seconda amara considerazione è che anche gli organismi intermedi non battono colpi da diverso tempo. Quelli che dovrebbero filtrare le istanze dei cittadini e delle categorie verso la politica, il sale della democrazia. Invece, producono tutti i giorni solo convegni per interrogarsi sulle ricette per lo sviluppo.
    La debacle morale della Calabria è dovuta anche all’inerzia di chi dovrebbe rappresentare gli interessi legittimi delle forze sane di questa Regione.
    Il silenzio delle altre associazioni di categoria é stato e resta un fatto grave e incomprensibile, oppure più probabilmente, la compiacenza verso i singoli interessi e la politica ha avuto la meglio.

    Cosa chiede oggi il Presidente di Confcooperative?

    Semplicemente, quanto detto, cioè di portare le carte in Procura, oppure di affiancare al commissario, un pool di giovani ufficiali in aspettativa dalla Guardia di Finanza e dai Carabinieri, per via della complessa e oscura matassa da sbrogliare.
    Leggendo i soli verbali della commissione speciale di vigilanza, a mio parere, ci sono ampi spunti per aprire un’indagine approfondita.

    La sua, è una dura denuncia anche contro chi si occupa di sindacato per le imprese…

    Non devo occupare spazi di visibilità. Il mio unico obiettivo è rappresentare gli interessi della parte sana delle imprese, che oggi sono esposte a mille soprusi e angherie, e stimolare il senso di indignazione che è un ingrediente fondamentale nelle democrazie e da noi spesso manca; resto consapevole che la strada per la risalita morale è tortuosa, ma se vogliamo cambiare le cose dobbiamo impegnarci mettendoci la faccia, tenendo conto che la dignità non ha prezzo.

    Ritiene che ci siano i margini per recuperare almeno questi nuovi Consorzi?

    Sono pessimista. Oggi non sono in grado di dare le risposte che le imprese agricole attendono da anni. La soluzione più razionale sarebbe di riaffidarli alla Regione, che dovrebbe riunire sotto un’unica regia l’intero sistema di gestione delle acque, potabili e per uso agricolo.

    Quindi lei è del parere che occorra socializzare le perdite inserendoli nel bilancio regionale. Il cittadino dovrà pagare questo ennesimo scandalo?

    Stiamo parlando di debiti contratti dalla politica negli ultimi 50 anni, che devono tornare ad essere gestiti da chi li ha generati, oppure da Autorità preposte per verificarne certezza e congruità.
    Purtroppo, restano debiti pubblici  le cui conseguenze saranno pagate dai cittadini, e di questo dobbiamo esserne consapevoli, ma almeno si metterà un punto fermo da cui ripartire in modo serio.
    Ovviamente, mi auguro che a pagare siano, soprattutto, coloro i quali hanno amministrato male e quelli che hanno rubato risorse e opportunità al territorio mettendo a rischio le attività agricole in provincia di Cosenza e non solo.
    L’agricoltura deve pagare il costo di un buon servizio irriguo o di un investimento, che crea un beneficio diretto, tangibile ed inequivocabile alle imprese.