Categoria: Ricerche

  • poverta-caritas

    Il Rapporto Bes è un’indagine dell’Istat che analizza il benessere equo e sostenibile dell’Italia attraverso fattori come la speranza di vita, il livello di occupazione, la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, l’esistenza di diseguaglianze ed il livello di istruzione dei cittadini italiani. 

    Si tratta di una ricerca di assoluta rilevanza perché abbraccia diversi fattori di sviluppo. Nello specifico ci sono 130 indicatori suddivisi in dodici domini: Salute, Istruzione e formazione, Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, Benessere economico, Relazioni sociali, Politica e istituzioni, Sicurezza, Benessere soggettivo, Paesaggio e patrimonio culturale, Ambiente, Ricerca e innovazione, Qualità dei servizi.
    Secondo il Bes 2016, rispetto al 2013, migliora la situazione dell’Italia in materia di soddisfazione per la vita, occupazione, istruzione, salute e ambiente. Più difficile, come prevedibile, la situazione del Mezzogiorno, soprattutto in relazione alla qualità del lavoro, le condizioni economiche e la soddisfazione per la vita.

    Se analizziamo i singoli domini, impossibile non soffermarci su quelli inerenti il mondo del lavoro. L’indagine racconta un’Italia in ripresa, ma ancora sotto la media europea in termini di crescita economica ed occupazionale. Il tasso di occupazione, ad esempio, è aumentato dello 0,6% contro il +0,8% della media poverta-caritaseuropea. Per effetto della de-contribuzione sulle nuove assunzioni stabili è aumentato di oltre 4 punti percentuali anche il tasso di conversione dei rapporti di lavoro a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato.
    Migliorano anche alcuni indicatori sul benessere economico come il reddito disponibile pro-capite (+1% rispetto al 2014), il potere d’acquisto (+0,9%) e la spesa pro-capite per consumi (+1,6%).

    Il quadro appare, dunque, tutto sommato in miglioramento. La crescita parziale degli occupati e del reddito non mitiga però le disuguaglianze sociali. Il Rapporto Bes 2016 evidenzia al contrario che il livello di disuguaglianza in Italia non accenna a diminuire e si mantiene su livelli superiori alla media europea: il rapporto tra il reddito percepito dal 20% della popolazione con i redditi più alti e il 20% con i redditi più bassi è pari nel 2015 a 5,8 contro una media europea di 5,2. Aumentano anche le persone a rischio povertà che rappresentano nel 2015 quasi il 20% della popolazione italiana, mentre i cittadini in stato di indigenza sono pari a 4 milioni e 598mila unità.

    Sono altrettanto preoccupanti i dati su ricerca e innovazione. La spesa per ricerca e sviluppo rappresenta l’1,38% del nostro Pil (in crescita rispetto all’1,31% del 2013), attestandosi sotto la media europea l’intensità degli investimenti non solo per quanto riguarda ricerca e sviluppo, anche per l’intensità brevettuale, la quota di occupazione nei settori high-tech e quella di occupazione di figure professionali altamente qualificate. Per rendere meglio l’idea, in Italia nel 2014 sono state presentate 69,5 domande di brevetto per milioni di abitante contro le 111,6 della media europea.
    I dati appena riportati sono l’ennesima dimostrazione di quanto sia urgente aumentare gli investimenti nei settori della conoscenza, sfruttando le intelligenze a nostra disposizione ed evitando la fuga di cervelli che da troppo tempo contraddistingue l’Italia ed in misura più imponente il Mezzogiorno.


  • comuni-mafia

    Dal 2001 al 2014 sono stati sciolti 2.385 consigli comunali. Le ragioni sono diverse: a prevalere sono i motivi politici (dimissioni dei consiglieri o del sindaco), ma c’è una discreta quota di comuni commissariati per mafia. 

    Openpolis ha realizzato per Repubblica un’interessante indagine sul commissariamento dei comuni italiani negli ultimi 13 anni, sottolineando le tendenze ed i cambiamenti del fenomeno, sia in merito alla sua distribuzione territoriale che alle cause scatenanti.
    comuni-mafiaDallo studio emerge, ad esempio, che nel periodo preso in considerazione è aumentato del 27,5% il numero dei Comuni del Nord commissariati, a fronte, invece, di un calo del 24,3% al Sud.
    In media ogni anno sono 2,5 milioni i cittadini italiani interessati dallo scioglimento del proprio Comune, con il picco massimo raggiunto nel 2001 (6,8 milioni di persone coinvolte).
    In genere il commissariamento avviene nei comuni sotto i 3.000 abitanti (35% del totale), anche se non sono mancate le eccezioni rilevanti: è il caso del consiglio comunale di Reggio Calabria, sciolto per mafia nel 2012. Negli ultimi anni, inoltre, l’indagine rileva un aumento degli scioglimenti nei comuni con più di 10mila abitanti, passati dal 33,1% al 36,2% .

    Se ci concentriamo, invece, sulle cause dello scioglimento, come accennato in precedenza, vediamo prevalere le ragioni politiche. Nel 71,90% dei casi, infatti, il commissariamento avviene per le dimissioni dei consiglieri o del sindaco o per mozioni di sfiducia. La percentuale di Comuni sciolti per mafia dal 2001 al 2014 si attesta, invece, al 13,46%. Le regioni con la più alta concentrazione di consigli comunali commissariati sono la Campania (18,28%), la Lombardia (13,46%), la Calabria (12,29%), la Puglia (9,39%), il Piemonte (8,39%) e il Lazio (8,01%).
    Ma veniamo ai dati attuali. Al momento sono commissariati in tutta Italia 82 Comuni, di questi 13 per infiltrazioni della criminalità organizzata (16% del totale, in aumento rispetto alla media del periodo 2001-2014).
    Per quanto riguarda quest’ultima fattispecie, l’indagine sottolinea come negli anni del Governo Monti, ovvero 2012 e 2013, ci sia stata una netta impennata dei commissariamenti, dovuta probabilmente alla presenza di tecnici a Palazzo Chigi che ha impedito di fatto qualsiasi tipo di mediazione politica con le realtà locali.
    Le Regioni con il maggior numero di comuni sciolti per mafia sono la Campania e la Calabria (71% dei casi), con diversi consigli come quello di Casal di Principe o Taurianova commissariati più di una volta da quando è stata introdotta la normativa (1991).


  • smart working

    Gli italiani sono sempre più poveri e più vecchi. La crescita delle diseguaglianze economiche e sociali, la disoccupazione elevata e l’invecchiamento demografico sono problemi reali, confermati dall’Istat e da tanti altri studi in questi campi. 
    Anche il Rapporto Coop 2016 evidenzia tali problematiche, ma mette in luce anche altri aspetti che servono a rendere più completo il quadro sugli italiani, la loro situazione economica le loro scelte di consumo.

    Dall’indagine emerge, ad esempio, che il consumatore italiano è estremamente attento alla linea (siamo i più magri d’Europa), alla salubrità degli alimenti e a smart workingtutto ciò che è eco-sostenibile.
    Prediligiamo il cibo più salutare, basti pensare che negli ultimi sei anni i consumi di carne rossa sono diminuiti del 13% e c’è da credere che siano destinati a diminuire ulteriormente dopo l’allarme dell’Oms; di converso ci avviciniamo sempre di più al cibo etnico (+8% nei primi sei mesi del 2016) e preferiamo lo zucchero di canna a quello raffinato, ingredienti come lo zenzero ed il cibo bio, la cui crescita sfiora la doppia cifra.
    Le tematiche della salute e della sostenibilità ambientale sono diventate, dunque, all’ordine del giorno nel nostro Paese e porteranno di qui ai prossimi anni ad un radicale cambiamento nelle scelte dei consumatori, sempre più attenti alla provenienza del cibo (siamo quelli che guardano di più le etichette) piuttosto che al prezzo.

    Ma c’è un aspetto aspetto che contraddistingue gli italiani ed è la tecnologia. Nonostante il digital divide sia ancora un problema di assoluto rilievo, che abbraccia soprattutto la sfera economica, il consumatore nostrano è tra i più smart ed innovativi d’Europa.
    Nel 2015 sono stati venduti in Italia ben 15 milioni di smartphone (solo i giapponesi utilizzano il cellulare più di noi) e 100.000 droni.
    Più volte in questa sede abbiamo sottolineato come l’Internet delle cose e la sharing economy possano diventare (con le dovute eccezioni e la giusta regolamentazione) due risorse per il nostro Paese. Lo pensano evidentemente anche gli italiani. Siamo primi in Europa, infatti, nell’uso delle piattaforme di sharing economy (5% degli italiani), dichiarandoci aperti a nuove forme di produzione del valore e di condivisione delle risorse.
    In questo momento in Italia sono attive 120 piattaforme di economia collaborativa, utilizzate da 3 milioni di cittadini ed il 30% degli intervistati dichiara di voler sperimentare nei prossimi mesi una delle piattaforme operative nel nostro Paese.