• Nei primi otto mesi del 2015, il numero di decessi in Italia ammonta a 445.000 contro i 399.000 dello stesso periodo del 2014.
    Se la tendenza dovesse rimanere invariata per gli ultimi quattro mesi dell’anno, i morti arriverebbero a 666.000, facendo registrare un aumento di 68mila unità su base annua corrispondente ad un +11,3%.

    Sono numeri che hanno allarmato i commentatori ed i cittadini e che non possono essere giustificati solamente con l’invecchiamento della popolazione.
    istatCome evidenziato in maniera puntuale da Gian Carlo Blangiardo, tra il 1°gennaio 2014 ed il 1°gennaio 2015 le persone con più di 61 anni sono aumentate di circa 170.000 unità. Se dovessimo prendere in considerazione, quindi, l’invecchiamento della popolazione in base ai dati reali, il numero dei morti dovrebbe crescere di 16mila unità su base annua e non di 68mila come invece è accaduto.

    L’innalzamento dell’età media, dunque, è solo una delle cause dell’aumento della mortalità, ma non può essere l’unico fattore.
    In molti in questi giorni hanno parlato dell’inquinamento, dei tagli alla spesa sanitaria e dell’aumento delle diseguaglianze come dei possibili fattori scatenanti.
    Il peso degli elementi appena indicati è sicuramente rilevante, ma bisogna fare attenzione a non sovrastimare il loro valore per non scadere nella demagogia e nella valutazione politica del fenomeno.
    Al momento non è possibile avere certezze circa le cause di questa enorme crescita del numero di morti.
    I dati non sono completi, in quanto non vengono indicate le cause del decesso, l’area geografica di riferimento e soprattutto non possiamo fare un confronto con altri paesi per verificare se si tratti di un andamento solo italiano o globale.
    La certezza, invece, è che nel post Seconda Guerra Mondiale, le due variazioni più ampie sono avvenute nel 1983 e nel 2003, quando il numero di persone decedute era cresciuto su base annua di circa 30.000 unità. In questo caso siamo di fronte ad una variazione di entità doppia, paragonabile solo agli anni in cui l’Italia è stata coinvolta in un conflitto mondiale.
    I dati in questione, dunque, non sono da sottovalutare e vanno analizzati con cognizione di causa, senza effettuare valutazioni affrettate e sommarie.