• olio giovani in vita

    La ‘ndrangheta si muove sul proprio territorio seguendo diverse strategie.
    Il controllo dell’economia locale non si fonda solamente sulle intimidazioni nei confronti delle imprese e degli esercizi commerciali onesti.

    L’aspetto che forse rende più forte la criminalità organizzata è la paura che infonde nei cittadini che si trasforma in convinzione che per lavorare in determinati olio giovani in vitasettori, l’ultima parola spetti inevitabilmente alla ‘ndrangheta.
    L’ultima testimonianza in merito a questo modus operandi viene dalla cooperativa calabrese Giovani in vita.
    Si tratta di una coop che opera sui terreni confiscati alla mafia e aiuta altre aziende oggetto di intimidazione, fornendo loro mezzi agricoli e maestranze.
    Giovani in vita si estende su circa 32 ettari di terreni agricoli confiscati alla ‘ndrangheta e concessi in gestione alla cooperativa dai Comuni di Sinopoli, Varapodio, Oppido Mamertina e Limbadi.
    Produce soprattutto olio extra vergine d’oliva, patate ed arance; grazie alla sua attività prova a produrre lavoro per i giovani del posto, sottraendoli alla rete della mafia.

    Un’azione, questa, che evidentemente infastidisce i boss del luogo: accade così che, dopo le numerose intimidazioni, gli atti di vandalismo e le minacce di morte nei confronti di Domenico Luppino, titolare dell’azienda, la cooperativa abbia deciso di denunciare un’altra situazione spiacevole.
    Secondo il racconto di Luppino, molti aspiranti lavoratori sostengono i colloqui per lavorare nella cooperativa, ma poi improvvisamente rinunciano per i motivi più disparati e assurdi.
    Dietro queste insospettate ed insospettabili decisioni c’è ancora una volta la mano della ‘ndrangheta, che evidentemente non gradisce che una coop che applica regolari contratti di lavoro gestisca il mercato dell’olio e delle arance: «Più volte abbiamo fatto anche annunci. Ne abbiamo chiamati a decine – spiega Domenico Luppino nel corso della trasmissione Storie vere che andrà in onda tra qualche giorno su Rai Uno – Si presentano, fanno il colloquio e poi si eclissano con le motivazioni più assurde: piove, maltempo, c’è stato il terremoto, sono malato, mio nonno non sta bene… Rinunciano dopo avere chiesto conto a chi regge il territorio. La gente sarebbe allettata da questo lavoro. In questo momento stiamo lavorando su quasi 500 ettari di uliveti. Sarebbe un lavoro importante in una terra con una disoccupazione così alta. Evidentemente la forza dell’assoggettamento è più forte della necessità»