• cooperativa valle del bonamico

    La cooperativa Valle del Bonamico è un’impresa nata il 21-10-1995 sotto l’impulso di Mons. Bregantini, allora vescovo di Locri-Gerace.
    La coop nasce con l’intento di dare lavoro ai giovani della Vallate del Bonamico e del Careri, un contesto territoriale dominato dal potere mafioso.

    L’impresa si è occupata principalmente della produzione di piccoli frutti come more, ribes, lamponi, ciliegie e mirtilli e ha instaurato nel corso del tempo un rapporto di collaborazione con la cooperativa trentina Sant’Orsola di Pergine Valsugana (TN), sfruttando il canale privilegiato di Bregantini con il Trentino, cooperativa valle del bonamicoessendo il vescovo originario del luogo.
    Nel corso dei vent’anni di attività la cooperativa Valle del Bonamico si è cimentata anche nell’allevamento del suino nero d’Aspromonte, una varietà animale tipica calabrese, e ha provato anche ad intraprendere la strada della produzione di vino.
    I risultati sono stati alterni, con la produzione di piccoli frutti che ha ricevuto anche un importante riconoscimento dell’Ocse, mentre l’attività vitivinicola ha dovuto fare i conti con numerosi problemi di natura finanziaria e con le ripetute intimidazioni della criminalità organizzata.
    Nel mezzo è da registrare anche un procedimento giudiziario per truffa con la successiva assoluzione da parte della Corte dei Conti, prima di arrivare, qualche mese fa, alla chiusura della cooperativa a causa di una “crescente pesantezza finanziaria”.
    Una storia, dunque, di successo e di difficoltà, un paradigma del fare impresa nel Mezzogiorno e in Calabria nello specifico.

    Nell’edizione odierna del Corriere della Sera Gian Antonio Stella riporta la querelle nata in questi mesi tra la Valle del Bonamico e la Cosis della Fondazione Roma, per via di un finanziamento di 200.000 euro ricevuto dalla cooperativa per metà dal Fondosviluppo di Confcooperative e per metà dalla Fondazione.
    Mentre Fondosviluppo ha rinunciato ai soldi dovuti considerando anche l’esiguità della cifra, Cosis è andata fino in fondo pretendendo la restituzione della cifra prestata ed ottenendo il pignoramento nei confronti dei professionisti che avevano concesso la fideiussione.
    Un’azione che ha scatenato l’indignazione di Bregantini, che in un comunicato diffuso ieri si interroga in questi termini: «È doveroso chiederci quali spazi e quale ruolo abbiano oggi le Fondazioni (…) dal momento che si comportano con le stesse modalità delle banche tradendo gli scopi statutari e la loro mission originaria».
    Una vicenda, dunque, che testimonia per l’ennesima volta quanto sia complesso fare impresa nel Mezzogiorno e come le logiche di tipo affaristico spesso prevalgano sulla necessità di agire per le comunità locali.