La Gran Bretagna rappresenta il secondo mercato europeo (il quarto mondiale) dietro la Germania per i prodotti del Made in Italy agroalimentare.
Un’eventuale uscita dall’Unione Europea con il referendum del 23 giugno, quindi, potrebbe avere delle ripercussioni negative sull’export italiano. Nel 2015 il valore delle esportazioni agroalimentari ha superato quota 3 miliardi di euro, beneficiando dell’appeal dei prodotti italiani negli Stati Uniti, in Cina, ma anche in diversi paesi europei come appunto la Gran Bretagna.
Il mondo delle associazioni di rappresentanza delle imprese agricole, nello specifico Federalimentare, Coldiretti e l’Alleanza delle Cooperative agroalimentari, crede, invece, che l’eventuale Brexit non avrà un impatto negativo sull’agroalimentare italiano, anzi paradossalmente l’Italia potrebbe avere alcuni benefici.
L’unico rischio potrebbe venire dal rallentamento della crescita britannica, con i consumatori meno propensi ad investire, e dal possibile cambiamento delle norme sulla denominazione di qualità, un aspetto che penalizzerebbe soprattutto le cooperative.
Per il resto, vista la particolare natura dei prodotti alimentari, non dovrebbero esserci particolari problemi per l’Italia.
Il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, addirittura rilancia, parlando di danni che riguarderebbero più il Regno Unito che l’Italia.
Allo stato attuale la Gran Bretagna riceve il 7% delle risorse destinate alle politiche agricole da parte dell’Unione Europea, una percentuale che colloca i britannici al sesto posto nella classifica dei maggiori beneficiari di aiuti agricoli a fronte del tredicesimo posto per numero di aziende agricole (circa 187mila).
Secondo i rappresentanti dell’agroalimentare italiano, dunque, il Regno Unito riceve più di quanto dà all’Ue.
Diventa, invece, più complessa la situazione per quei cittadini britannici che fanno attività d’impresa in Italia. Secondo un’indagine di Infocamere sono 10.346 le imprese italiane con almeno un cittadino del Regno Unito al proprio interno.
Un’eventuale Brexit li renderebbe extra-comunitari, complicando in maniera notevole la loro attività imprenditoriale. I settori più diffusi sono quello delle attività commerciali, della manifattura e degli alloggi (o della ristorazione), mentre l’agricoltura, silvicoltura e pesca si colloca al sesto posto.
Le ripercussioni di un’eventuale uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea potrebbero essere, dunque, meno gravi per l’agroalimentare rispetto ad altri settori dell’economia italiana.