• Domani sarà l’ultimo giorno delle quote latte. A partire dall’1° aprile non ci saranno più restrizioni a livello europeo per la produzione di latte.
    Dopo 32 anni di storia, si compie un’operazione di liberalizzazione del settore lattiero-caseario quasi epocale.
    La domanda che si pongono gli esperti è ovviamente quali possano essere gli effetti della fine delle quote latte sull’intero ambito produttivo.
    Allo stato attuale il settore si trova in un momento estremamente difficile, visto il crollo verticale del livello dei prezzi. Negli ultimi dodici mesi, per fare un esempio, i prezzi della polvere di latte sono diminuiti addirittura del 35%, mentre quelli del burro presentano una variazione negativa del 15%.

    Una situazione di questo tipo avvantaggerà con ogni probabilità i paesi produttori più forti: Germania, Olanda e Polonia su tutti. Non a caso nell’ultimo Consiglio agricoltura, svoltosi il 16 Marzo a Bruxelles, la Germania si è dichiarata contro ulteriori misure di protezione del settore lattiero-caseario, neppure temporanee.
    Liberalizzazione totale, dunque, con annesse difficoltà per quei paesi, come l’Italia, che difficilmente riusciranno a reggere la concorrenza estera.

    46726-milkSul latte italiano graverà innanzitutto il peso dei 4,4 miliardi di euro di multe emesse in questi anni per il mancato rispetto delle quote. Sono tantissimi i produttori, specie nel Nord Italia, che spinti dalla propaganda politica di attori come la Lega non hanno rispettato la legislazione europea penalizzando in questo modo l’intero settore.
    Tornando alla competizione su scala globale, l’Italia potrà puntare su un solo aspetto: la qualità del prodotto. Il latte italiano, infatti, viene utilizzato quasi solo esclusivamente per la produzione di formaggi oppure viene commercializzato come latte fresco.

    Per tutti gli altri utilizzi vengono preferiti prodotti come quello tedesco, francese o polacco che offrono dei costi minori. Secondo un’indagine del Clal, il latte italiano ha un prezzo di 35 centesimi al litro, comparativamente più alto rispetto ai 31 centesimi di quello francese o ai 28 di quello polacco.
    E come se non bastasse in questi anni si sono ridotte esponenzialmente il numero delle stalle. Come riporta Repubblica, infatti, siamo passati dalle 180 mila stalle degli anni Ottanta alle 30 mila attuali.
    Bassa produzione, dunque, ma di qualità. Difficilmente, però, basterà per reggere il ritmo degli altri produttori europei.
    Bisognerà puntare sui mercati extra Ue, cercando di vendere bene un prodotto che è il marchio di fabbrica dell’agroalimentare doc italiano.