Mafia e agricoltura: un binomio da 16 miliardi di euro che spesso ha danneggiato la concorrenza, la qualità e l’immagine dell’agricoltura italiana.
Distruzione dei campi e dei macchinari, racket, truffe alimentari, pratiche di caporalato e gestione della fase di intermediazione con la grande distribuzione. Sono alcune delle pratiche più diffuse esercitate dalla criminalità organizzata nel comparto agricolo.
Ed è bene precisare non si tratti solo di un fenomeno riferito al Mezzogiorno, ma a tutta l’Italia. Le associazioni criminali trovano sempre più vantaggioso inserirsi nel mondo agricolo, perpetrando anche vere e proprie truffe alimentari che arrecano danni alle imprese oneste.
La quarta edizione del rapporto Agromafie 2016 sui crimini agroalimentari in Italia, realizzato da Coldiretti, Eurispes ed Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema dell’agroalimentare, prova a fare chiarezza sul fenomeno e sulle evoluzioni del sistema dei controlli.
Da quest’ultimo punto di vista emergono i dati maggiormente positivi. Mentre negli altri paesi ci sono ancora dei controlli piuttosto blandi, l’Italia, grazie all’operato della magistratura e delle forze dell’ordine, ha intensificato le misure ispettive, riuscendo ad identificare numerosi reati.
Il valore totale dei sequestri effettuati è di 436 milioni di euro; i settori più colpiti sono quelli della ristorazione (24% dei sequestri portati a termine), della carne e dei salumi (18%), della farina, pane e pasta (11%). Ma anche i comparti del vino, del latte e dei formaggi e dell’olio sono sempre più coinvolti in attività illecite perpetrate dalla mafia.
Per quanto riguarda, invece, le regioni più colpite sono ovviamente la Calabria, la Sicilia e la Campania, ma ci sono regioni come l’Abruzzo, l’Umbria, Lombardia e Piemonte che stanno diventano sempre più permeabili ai crimini agroalimentari.
L’Indice di Organizzazione Criminale (IOC) che misura il grado di penetrazione di questo tipo di reati nei singoli territori, assegna la poco ambita palma di provincia più colpita a quella di Ragusa (100), seguita da Reggio Calabria (99,4) e Napoli (78,4).
Per combattere questo fenomeno è necessario, secondo i ministri Martina e Orlando, realizzare un quadro di normative europee. Il solo intervento dell’Italia rischia di non riuscire ad arginare pratiche che hanno implicazioni e diramazioni internazionali. Basti pensare alle truffe sui fondi europei o alla contraffazione di prodotti agroalimentari italiani.
Il marchio Made in Italy, come sottolineato recentemente dal presidente dell’Anac Raffaele Cantone, ha un appeal sempre più elevato a livello globale. Per questo motivo la mafia trova vantaggioso vendere prodotti spacciandoli per italiani, quando in realtà sono stati realizzati all’estero con materie prime a basso costo.