La Camera dei Deputati ha approvato un emendamento al Ddl Pubblica Amministrazione, presentato dal deputato Pd Marco Meloni, che prevede l’eliminazione del voto minimo di laurea per poter partecipare ad un concorso pubblico.
Si tratta di una novità importante che amplierà ulteriormente la platea dei partecipanti a delle selezioni pubbliche che sono già adesso affollatissime.
Questo provvedimento non è accompagnato da un aumento dei posti nella Pubblica Amministrazione. Al contrario, la riforma della Pubblica Amministrazione prevede un corposo taglio agli enti pubblici, rendendo ancora più difficile il turnover generazionale.
Tra le misure approvate dal Parlamento c’è infatti il dimezzamento delle Prefetture: gli enti periferici verranno accorpati agli Uffici territoriali dello Stato, un ufficio che farà da raccordo tra Stato e periferia.
L’intento del provvedimento è snellire la burocrazia, velocizzando soprattutto le pratiche per i permessi da accordare alle nascenti attività imprenditoriali e commerciali.
Bisogna chiedersi, però, se lo snellimento possa essere ottenuto attraverso la spending review. Per rendere l’apparato burocratico più efficiente bisognerebbe intervenire sulle procedure e sulle competenze, piuttosto che sul numero degli enti.
Il taglio di molte prefetture e l’eliminazione di alcune partecipate (altra misura presente nel Ddl) sono sicuramente interventi necessari, ma che difficilmente renderanno la P.A. più efficiente.
Tra le altre novità della riforma della Pubblica Amministrazione c’è anche lo stop ai dirigenti condannati per danno erariale: spetterà al Governo stabilire i casi in cui la condanna della Corte dei Conti, anche se non definitiva, porterà alla revoca dell’incarico.
Una delle misure maggiormente positive è, invece, la nascita della cosiddetta “carta della cittadinanza digitale”, all’interno della quale verranno stabiliti i servizi digitali minimi che una P.A. deve possedere.
Spetterà ad un dirigente portare avanti la digitalizzazione in ogni singola pubblica amministrazione.