Nel corso di diversi appuntamenti formativi mi capitato spesso di imbattermi in persone desiderose di apprendere l’uso di tecniche diverse, necessarie, a loro dire, per gestire al meglio contesti e situazioni nelle quali sono chiamate ad agire. Che si tratti di genitori, insegnanti, manager, singoli individui, la maggior parte delle attese verte sul bisogno di impadronirsi di strumenti volti a governare, dirigere, amministrare, persone e relazioni.
Le ragioni sono facilmente intuibili. Nell’epoca in cui il tempo sembra sfuggire ad ogni forma di controllo, le relazioni sono sempre più diversificate e veloci, il “mordi e fuggi” caratterizza quasi ogni stato dell’essere, e la persona agisce in uno stato di perenne indeterminazione avendo smarrito punti di riferimento e certezze, a cui fanno riscontro sempre più frequentemente sentimenti di insufficienza e inadeguatezza, il possesso e l’abilità di governare poche e semplici tecniche offre, in un certo senso, l’opportunità di meglio padroneggiare e meglio uscire “incolume” da questo baillâmes.
Nella società delle <possibilità>, della non accettazione di limiti e confini, di ciò che realmente ci costringe a metterci in discussione come persone (chi sono, da dove vengo e verso dove vado, come cita Cervantes nel don Chisciotte), è pressante la richiesta di gestire il presente, il qui e ora: ciò costringe a “non pensare” e ad un agire immediato che, in poco tempo, risolve ogni questione.
Il mio pensiero è che le tecniche prive di un’azione progettuale intenzionale vissuta dalla persona restano fine a se stesse. Meglio ancora: non è detto che ogni tecnica sia facilmente governabile da ogni individuo poiché ogni persona è diversa dall’altra; ciascuna ha una propria storia, un senso, una direzione, e determinate abilità possono inserirsi soltanto nel solco di quella storia. E lì dove una storia non c’è, o non c’è consapevolezza di quel divenire, è necessario che la si susciti facendo leva sulle risorse, ma anche sui limiti, della persona perché se ne appropri e impari a gestirla da protagonista. In altre parole, favorire percorsi educazionali e formativi: le due facce di una stessa medaglia.
Il nostro è un “tempo che fugge” (canta Ivano Fossati) che ci vuole spaesati e confusi, ma “c’è tempo, c’è tempo in questo mare infinito di gente”, per riprendere in mano le redini della propria storia. E dove non ce la si fa da soli, saper chiedere aiuto.