Categoria: Business


  • Quanto conta nel 2015 avere un’alta propensione al risparmio? Una società con risorse limitate per una fascia di popolazione sempre più ampia non può che rendere maggiore il valore del risparmio.
    Sono soprattutto i giovani a credere nell’importanza della parsimonia. Si tratta di ragazzi under 35, che in molti casi si trovano senza lavoro.
    Questo, però, non impedisce loro di avere dei desideri e delle aspettative per il futuro, realizzabili solo attraverso una gestione accurata delle poche risorse a disposizione.

    Secondo un’indagine di Einaudi/Intesa San Paolo il 68% dei giovani crede che sia indispensabile risparmiare. Ma quali sono i metodi più utilizzati negli ultimi anni?
    Ci troviamo di fronte a strumenti di risparmio sempre più digitali. Ci sono delle app e dei portafogli che funzionano da veri e propri salvadanai. euro greciaEsistono addirittura dei robo-advisor, in grado di consigliarti su cosa e quando investire.
    E l’aspetto più sorprendente è il costo piuttosto limitato: con 200 euro è possibile investire in un pacchetto di azioni europee, in bond americani ed in obbligazioni internazionali.
    La tendenza è quella di non porre limiti all’ingresso, con pochi euro si possono acquistare fondi e azioni. La possibilità di investire somme ridotte è probabilmente l’aspetto più rivoluzionario della nuova finanza digitale.
    Un meccanismo resosi necessario dopo la crisi del 2008, che ha portato numerosi cittadini ad essere restii ad investire grosse cifre nell’acquisto di titoli ed obbligazioni.
    Il Corriere Economia ci porta alcuni esempi: investendo in azioni europee ed obbligazioni internazionali l’equivalente di 3 caffè alla settima dal 1985 ad oggi, il rendimento sarebbe stato di 2.613 euro, mentre risparmiando la somma spesa per acquistare un pacchetto di sigaretta a settimana il rendimento sarebbe stato di 3.808 euro.
    Si tratta di piccoli esempi, che mostrano come il risparmio viaggi ormai a basso costo e con mezzi digitali. L’era dei grandi investimenti è temporaneamente terminata per lasciare spazio a tecniche più immediate ed innovative.



  • Un’azienda di successo è chiamata a prendere delle decisioni strategiche per rimanere sempre competitiva in un mercato che cambia. Quali sono, però, le priorità assolute da tenere a mente?

    L’obiettivo generico di ogni realtà aziendale è rendere il proprio band appetibile sul mercato. Per raggiungere questo obiettivo, ogni impresa ha una diversa scala delle proprie priorità.
    Al primo posto nella maggior parte dei casi ci sono le strategie di marketing. Migliorare l’immagine del proprio marchio e della propria organizzazione, utilizzando anche gli strumenti forniti dai social media, rimane un obiettivo strategico di primo piano anche in un contesto regolatore profondamente cambiato, ma non rappresenta più l’elemento in grado di fare la differenza.
    Gli investimenti in marketing sono ormai sempre più diffusi e corposi, il che rende la competizione una sorta di guerra a somma zero.

    businessIl mercato attuale esige un cambiamento di prospettiva ed un rovesciamento della gerarchia delle priorità a livello aziendale. Sono due, in particolare, gli elementi da valorizzare e che sono in grado di dare valore al tuo prodotto e alla tua impresa: la cosiddetta conformità normativa e l’efficienza operativa.
    Per quanto riguarda il primo elemento, è sempre più importante conoscere le regole imposte dalle istituzioni nazionali e sovranazionali. Ovviamente un’operazione di questo tipo impone un notevole dispendio di tempo e anche di risorse, ma ti consente di venire a capo di un mercato sottoposto a rigidi controlli da parte delle autorità.
    Il mancato rispetto delle nome anti-concorrenza, ad esempio, può portare le imprese a pagare multe salate e a perdere, magari, i vantaggi competitivi forniti dalle strategie di marketing attuate.
    Un ulteriore elemento da mettere in testa nella scala delle priorità aziendali è l’efficienza operativa, ovvero l’attenta gestione del rapporto tra costi e guadagni.
    Da questo punto di vista risulta essenziale puntare sull’innovazione e sulla qualità dei prodotti. L’implementazione dei processi di automazione e delle nuove tecnologie porta alla riduzione dei tempi e dei relativi costi produttivi.
    Per certi aspetti la cultura aziendale italiana sembra ancora legata alle logiche di tipo fordista, nonostante i modelli e la forme di organizzazione aziendale siano stati totalmente rivoluzionati.
    Conoscenza delle leggi e del mercato, innovazione e qualità sono tre principi che il mondo cooperativo intende portare avanti, veicolando così un modello aziendale che sappia guardare avanti anziché essere ancorato a stereotipi e modus operandi passati.

     



  • Il ruolo delle donne nella finanza italiana ed europea è ancora marginale, soprattutto se rapportato alla straordinarie capacità che l’universo femminile ha dimostrato in questi anni.
    Secondo Joe Capobianco, direttore generale dell’Organismo Apf (Album Promotori finanziari), in Italia le consulenti donne nel mondo della finanza sono solo il 18,6% nonostante gestiscano dei portafogli mediamente più grandi: 20 milioni di euro in media contro i 14 milioni degli uomini.
    Le loro capacità manageriali e di gestione del rischio orientato agli investimenti sono apprezzate dai clienti. Evidentemente questo non basta a ridurre le differenze di genere in un ambito tradizionalmente considerato di “appartenenza” maschile.

    sedia vuotaQuesto tipo di discriminazione di genere non è presente, invece, negli Stati Uniti. Secondo l’Us Bureau Labor Statistics Report, infatti, nell’anno 2014 sono quasi centomila le donne consulenti nel settore finanziario su un totale di 383mila. Siamo di fronte a percentuali ben più alte rispetto all’Italia e al resto d’Europa.
    Non a caso proprio negli Stati Uniti, come riportato da Corriere Economia, stanno già attivando dei portafogli specifici per le donne.
    Le caratteristiche manageriali sono diverse rispetto a quelle degli uomini. Di qui l’esigenza di predisporre prodotti d’investimento specifici per l’universo femminile.

    Ma facciamo un po’di chiarezza sugli aspetti peculiari delle donne manager nel mondo della finanza. Innanzitutto risultano essere meno propense al rischio, amano seguire le trattative da vicino, interpellando il proprio consulente e cercando di conoscere tutti i dettagli dell’investimento. Proprio la curiosità sembra essere l’aspetto maggiormente divergente nel confronto con gli uomini: consente loro di valutare attentamente tutte le dinamiche del possibile investimento e di predisporre degli obiettivi concreti da realizzare.
    Si tratta, dunque, di un profilo più pragmatico e attento rispetto a quello maschile, ma fortemente sotto-rappresentato nella finanza italiana. Resta, ad ogni modo, un figura in crescita nel mondo del private banking, sia dal punto di vista numerico che da quello delle risorse possedute.
    Sarà forse merito della loro accurata gestione del patrimonio e del rischio? L’Italia e l’Europa sono chiamate a prendere appunti.



  • Una delle misure presenti nel decreto legge sull’Investment Compact riguarda la portabilità dei conti correnti.
    Allo stato attuale trasferire un conto da una banca ad un’altra comporta una serie di adempimenti burocratici e di costi che di fatto scoraggiano il cliente ad effettuare questo tipo di operazione.
    Con la nuova disciplina normativa, tutto diventerà più facile e più veloce, con enormi benefici per chi giudica svantaggioso il trattamento della propria banca.

    L’aspetto più importante del decreto, prossimo all’approvazione in Senato, riguarda la riduzione dei tempi di trasferimento. La vecchia banca dovrà trasferire le risorse disponibili e tutti i dati relativi ai bonifici e alle bollette entro un termine massimo di dodici giorni lavorativi.
    Qualora questo di periodo di tempo non dovesse essere rispettato, scattano multe salatissime per gli istituti bancari. Si va da un minimo di 5.160  euro ad un massimo di 64.555 euro; il cliente, inoltre, potrà rivalersi nei confronti della banca, se il ritardo nel processo di trasferimento ha arrecato danni al cliente stesso.

    part-time-parigiLe novità, però, non si fermano qui. La rivoluzione riguarda anche la riduzione delle incombenze burocratiche. Con la nuova normativa, infatti, chiunque voglia trasferire il proprio conto da una banca ad una nuova, dovrà semplicemente recarsi da quest’ultima e firmare un apposito modulo che fungerà da delega.
    A questo punto sarà il nuovo istituto bancario a far reperire la richiesta alla vecchia banca, occupandosi, dunque, tutto il procedimento burocratico. È ovvio che, a questo punto, è interesse di entrambi gli istituti velocizzare i tempi di trasferimento, sia per non incorrere in annose sanzioni che per poter avere il nuovo cliente in tempi celeri.
    Sul consumatore, infine, non graverà alcun costo ed onere aggiuntivo.

    Si tratta, in via definitiva, di una misura che incentiva la mobilità dei conti correnti, anche e soprattutto quelli online, sempre più diffusi nel nostro paese (secondo un’indagine di CheBanca! e Human Highway sono 16,6 milioni gli italiani che possiedono questo tipo di conto).
    Il decreto in questione, però, dovrà attendere qualche mese prima di diventare operativo. Le banche, infatti, avranno tre mesi di tempo per adeguarsi alle nuove disposizioni normative, il che dovrebbe far slittare l’effettiva entrata in vigore delle nuove misure all’inizio dell’estate.



  • Sales manager il nuovo direttore alle venditeC’era una volta il direttore delle vendite: una figura professionale che all’interno dell’azienda curava, e cura tuttora lì dove presente, i risultati di vendita provenienti dai venditori da lui coordinati. Strategie, politiche di prezzo, offerte, piani commerciali, con un unico obiettivo: portare a “casa” risultati.

    C’è oggi, ma purtroppo ancora in poche aziende, il sales manager la cui azione fa riferimento alle persone che vendono, considerate risorse dell’azienda, e pertanto responsabile del risultato complessivo del team del quale si occupa e, in funzione dell’organigramma aziendale, del prodotto/servizio o dell’area territoriale di competenza, del risultato di ciascun venditore per il quale svolge funzioni di coach.

    È la risorsa-persona-venditore il suo campo d’intervento, fissando per ciascuna obiettivi condivisi, strategie, incentivi, premi. È capace di motivare, collaborare, aiutare le persone in difficoltà con interventi mirati: proprio come un allenatore, sollecitando ciascuno a sfidarsi, cambiare, raggiungere la meta, in un processo che potremmo definire auto-educazionale: non offre soluzioni, almeno non imminenti rispetto ad un problema, ma stimola la ricerca di percorsi alternativi (problem solving).

    È comprensibile allora la distinzione tra le due figure: più “burocrate” la prima, da funzionario, più partecipata e vissuta la seconda e tale da costituire per le aziende l’anello di congiunzione, dinamico, fra l’area produttiva e l’area vendita che veicola prodotti e/o servizi ai consumatori finali.

    Un formatore sul campo, reclutato dalle aziende come quadro o con forme, più o meno durature, ma meno efficaci, di consulente esterno con interventi che possono spaziare da 6/8 mesi fino a due/tre anni.

    Evidente che sales manager non ci si improvvisa. Accanto alla formazione teorica occorre affiancare anni di esperienza nel campo delle vendite come nella gestione delle risorse umane. Abilità che solo l’esperienza può offrire coadiuvata da qualità personali di sensibilità, autostima, motivazioni, attitudine al cambiamento: vale a dire, consapevolezza del proprio agire e della possibilità di saper modificare le proprie azioni. Un principio di “congruenza”, di rogersiana memoria, utile ad essere da esempio per coloro che sono chiamati ad interagire con questa figura professionale.

    I risultati, come ogni intervento attento alla risorsa-persona, sono significativi sebbene non immediatamente riscontrabili. Di fatto, è certo, che il vissuto accanto ad un sales manager è tale da stimolare in ogni venditore spinta al miglioramento e consequenziale maggiore produttività.



  • Dipendenti seniorSe c’è un aspetto che nelle aziende non è sufficientemente tenuto in considerazione è il cosiddetto “trapasso delle nozioni”: non un vero e proprio strumento quanto, piuttosto, una cultura aziendale che fa del passaggio delle esperienze, la comunicazione di esperienze, una risorsa sulla quale puntare decisamente.

    Se i giovani costituiscono il futuro, l’innovazione, il progresso, i dipendenti senior rappresentano la parte solida di un’impresa: coloro che nel tempo hanno acquisito capacità imprenditoriali talvolta fino a spingerli, talvolta, a darne vita a proprie. Un bagaglio di esperienze fatte di vissuti che, nel bene e nel male, hanno lasciato una traccia significativa dalla quale ricavarne energia per le nuove generazioni.

    Il concetto appena espresso è noto con il nome di “diversity management”: una pratica nata negli Stati Uniti (tanto per cambiare) attorno agli anni ’90, che si occupa della valorizzazione delle diversità delle risorse presenti in azienda, impiegate per motivare i nuovi dipendenti e migliorare il clima aziendale, ottenendo così performance migliori. Una pratica e un principio gestionale che, purtroppo, nel nostro paese è disconosciuto o non applicato in buona parte delle imprese dove, invece, i diversi livelli generazionali finiscono per accentuare conflitti o, come in questo tempo di crisi, spingendo il lavoratore senior (anche per i costi elevati che costui comporta), ad abbandonare il campo.

    Con le loro competenze, legate alle mansioni svolte ed ai contatti interni ed esterni sviluppati, i lavoratori over 50, possono diventare dei coach o counselor per i giovani neoassunti, accompagnandoli nel percorso di conoscenza dell’azienda. Possono affiancarli fino a renderli autonomi nello sviluppo (enpowerment) di responsabilità da riversare nelle scelte future dell’azienda.

    Nell’Anno Europeo per l’invecchiamento attivo e la solidarietà tra le generazioni, inaugurato appena due mesi addietro, possiamo sperare di dar vita ai principi della diversity management, migliorando le condizioni dell’invecchiamento con particolare attenzione al campo dell’occupazione favorendo lo sviluppo di percorsi virtuosi, sostenuti anche da veri e propri progetti formativi, utili a migliorare la permanenza attiva degli over 50 in azienda contribuendo così a dare valore all’esperienza che, in caso di abbandono, resterebbe perduta con un investimento di tempo (e denaro) maggiore per l’inserimento delle nuove generazioni.

     



  • franchisingIl periodo che va tra il 2009 e il 2011, quello caratterizzato dalla crisi ancora presente, ha rappresentato, dati di Confcommercio, per ben 50mila piccoli imprenditori il tempo della scelta di chiudere i battenti delle proprie attività. Cinquantamila commercianti che non hanno retto al peso della crisi e che, non trovando sostegno in altre forme di finanziamento (leggi Banche) di cui avrebbero avuto bisogno, hanno abbassato le saracinesche di attività intraprese, talvolta, da molto tempo e a costo di notevoli sacrifici.

    Per fortuna, non per tutti è andata così. Chi ha scelto di sfidare la crisi e di dar vita a nuove attività in forma di franchising le cose sono andate decisamente meglio.

    Stando ai dati di Assofranchising, nello stesso arco di tempo, i punti vendita aperti con questa particolare forma di compartecipazione, meno remunerativa di una totalmente indipendente ma anche meno rischiosa, sono cresciuti di circa 54mila unità: un dato non impressionante ma significativo visti i tempi che corrono.

    Un’opportunità, quella del franchising, che va ben oltre la titolarità di chi apre una nuova attività offrendo, al contempo, opportunità occupazionali: quasi 8mila gli addetti in più coinvolti in negozi di questo settore. E, negli ultimi due anni, cresce anche il fatturato di circa 500 miliardi.

    Soprattutto per il mondo giovanile, abbandonata l’idea del posto fisso, il franchising rappresenta un’opportunità rilevante che consente loro di agire da imprenditori con tutte le garanzie offerte da questo sistema commerciale. Opportunità che merita di essere sostenuta a livello locale dagli enti territoriali preposti nonché dagli istituti di credito, necessari ad erogare quel capitale iniziale che consente loro di dare vita ad una nuova attività commerciale.

    I dati confermano che, la dove queste azioni sono state messe in pratica, facendo leva sulla fiducia e lo spirito combattivo dei giovani d’oggi, i risultati ci sono stati. E sono sotto gli occhi di tutti.



  • Detto di varie tecniche di vendita, dell’attività consulenziale del venditore, di strategie e approcci funzionali utili alla conquista e fidelizzazione del cliente, occorre dedicare uno spazio a nuovi strumenti dettati dallo sviluppo della tecnologia.

    facebook mercato business pubblicitàCrisi a parte, in un mercato in costante evoluzione, ignorare l’uso di questi strumenti significa estraniarsi da un contesto in pieno sviluppo e lo stesso dicasi per un buon venditore chiamato ad includere nel bagaglio delle proprie abilità anche supporti di questo tipo.

    Internet e, in particolare i social network (questi ultimi in pieno boom), svolgono un ruolo di primo piano in un’azienda che vuole essere al passo con i tempi e orientata al cliente. Twitter, Facebook, LinkedIn, & Co., costituiscono oggi un fenomeno di massa attraverso i quali le aziende raggiungono in minor tempo, e con costi decisamente minori, un numero di utenti in continua espansione.

    Attraverso la creazione di apposite pagine, accuratamente aggiornate e ben veicolate, è possibile aggiornare i clienti su ogni iniziativa aziendale, informarli del lancio di nuovi prodotti e/o servizi, di proposte promozionali, fino a coinvolgerli (addirittura) nella rilevazione della soddisfazione e nella relativa restituzione dei dati. Insomma, a migliorare decisamente la tanto desiderata e attesa fidelizzazione del cliente.

    Tuttavia, anche per l’uso di internet e dei social network, per quanto le abilità “in giro” siano abbondanti, c’è bisogno di investire in professionalità. Occorre rivolgersi ad esperti capaci di formare gli agenti o, se trattasi di azienda, di affidarsi a consulenti di provata esperienza, riferendomi con ciò, a persone in grado di raccontare di esperienze di successo.

    Anche il venditore consolidato, che ha affinato più di una tecnica, non può ignorare l’uso di questi strumenti consapevole altresì che, anche se gli stessi non potranno mai sostituire l’approccio diretto con il potenziale cliente, costituiscono un valido contributo per lo sviluppo di nuovi contatti con i clienti stessi.

     



  • La crisi finanziaria internazionale ci ha messo del suo, ma è fin troppo evidente che è iniziata (e già da qualche tempo) una nuova fase del vivere quotidiano che lentamente, e in maniera inesorabile, sta conducendo, se non costringendo, tutti noi a nuovi stili di vita: più sobri ed essenziali.

    risparmio consumismo businessPer molto tempo abbiamo vissuto ben al di sopra delle nostre possibilità, “come se avessimo a disposizione quattro pianeti”, commentava un po’ di tempo addietro l’economista Erik Assadourian, consumando di tutto e di più, oltre il necessario e, non in poche circostanze, facendo finire nella spazzatura quel di più in avanzo.

    Negli ultimi 50anni i consumi di beni e servizi si sono sestuplicati a fronte di una popolazione mondiale aumentata solo di poco più di due volte nello stesso periodo, aumentando così lo squilibrio tra nord e sud del mondo e, come capita anche nel nostro Paese, tra regione e regione, ma anche tra città e città e, in queste, tra quartieri e quartieri.

    Pubblicità, mass media, “modelli virtuosi”, ci hanno inculcato che consumare è sinonimo di benessere; successo politico-governativo nazionale, conquista di uno status sociale ambito, da raggiungere a tutti costi (ne vale la nostra felicità), e poco importa se quel traguardo ti costa ore e ore di lavoro a discapito di affetti, passioni, hobbies; l’importante, alla fine, è consumare: oggetti, alimenti, risorse naturali, servizi, denaro e talvolta persino “persone”. Il lavoro come (solo) strumento per trasformare il reddito prodotto in consumi: il più delle volte superflui, ben oltre il necessario: un “meccanismo perverso” al quale, in tanti casi, non sfugge nemmeno chi svolge un’attività dalla quale riesce appena a ricavare quel “necessario” per vivere.

    Consumo, dunque sono” e se non consumi conduci (e sei) “Vita di scarto”, come scrive e titola due suoi lavori Zygmunt Bauman.

    La crisi finanziaria e del mercato del lavoro sta riportando tutti con i piedi per terra. Probabilmente non proprio tutti, tutti: certamente una gran parte di persone, e sono davvero tante, abituate a vivere (e spendere) ben al di sopra delle proprie possibilità. Inimmaginabili (o, forse si) le conseguenze a tutto ciò.

    In ogni caso, costretti o meno, occorre prendere coscienza che la cultura consumistica ha fatto il suo tempo. Che è giunto il momento di preparaci, con volontà, determinazione e spirito proattivo, ad affrontare questo nuovo scenario della vita per il quale non bastano azioni di riduzione dei consumi energetici, delle emissioni inquinanti, di attenzione ad un’alimentazione più sana e equilibrata. Occorre mettere mano a noi stessi, alle nostre mode, alla nostra “cultura” di consumo e possesso, per promuovere idee e azioni di “sostenibilità” utili a rimettere in equilibrio il nostro vivere nei confronti di noi stessi, di chi ci circonda, dell’intero pianeta.

    Mi domando se siamo pronti a tutto ciò. Se siamo disponibili a questo cambiamento di rotta che richiede, a ciascuno di noi, di rimettere mano ai valori di fondo che orientano il proprio agire quotidiano.

    Un cambiamento di rotta che “deve” necessariamente mettere in gioco istituzioni, governi, famiglie, aziende.



  • La domanda di partenza è nota: “il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto?”. E, dal tipo di risposta dipende l’atteggiamento con il quale si affronta questo tempo di crisi.

    Se mezzo vuoto, il sentimento prevalente è quello di ansia, di paura, di sopraffazione e l’atteggiamento consequenziale di blocco, titubanza, immobilità, pessimismo, di scarsa fiducia nei propri mezzi. Al contrario, se guardiamo al bicchiere mezzo pieno, nonostante sia vuoto per metà, il sentimento prevalente è di fiducia, di ottimismo, di possibilità di cambiamento e di speranza (che cammina sulle nostre gambe) nel riuscire a promuoverlo.

    venditore positivo negativo ottimista pessimistaEd è proprio così! La crisi più pericolosa è quella che ci portiamo in testa, quella che ci fa vedere tutto nero e che, in buona sostanza, affida ad elementi terzi (i politici, lo spread, la borsa, la fortuna, …) ogni cambiamento. E quel che è peggio è che i nostri interlocutori, clienti, responsabili degli acquisti, ma anche direttori commerciali, amministratori d’azienda, se ne accorgono. A risultati negativi non potranno che aggiungersi risultati negativi.

    Un buon venditore lo sa: in una vendita, prima del prodotto o del servizio proposto, occorre la capacità di vendere se stessi al cliente. Se nonostante questo tempo di congiuntura riesci a proporti in modo ottimista, positivo, autorevole, fiducioso delle tue capacità e di ciò che proponi, i risultati saranno certamente migliori. Magari ogni trattativa non andrà a buon fine, ma se l’atteggiamento prevalente sarà pessimista allora sì che tutto sarà irrimediabilmente compromesso.

    Tu che venditore sei? Su quali risorse fai leva per affrontare questo tempo di crisi? Chissà che mettendole in circolo non potrai essere di aiuto a chi vede il bicchiere sempre mezzo vuoto.



  • Scritto in altra circostanza delle qualità del consulente-venditore e di quella particolare abilità utile a cogliere il momento opportuno nel quale sottoporre il contratto alla firma del cliente, ritorniamo su questo particolare aspetto introducendo una prima tecnica utile a tale scopo. Come dicevamo, a poco servirebbero ogni capacità se prive di concretezza.

    venditori consulenti business commercio consigli formazioneA.I.D.A.S. è l’acronimo che racchiude non solo una tecnica quanto, piuttosto, un vero e proprio processo di vendita, che racchiude e descrive tutta la negoziazione: dalla fase di approccio con il cliente, alla scoperta dei suoi bisogni, fino alla fatidica firma del contratto.

    Scopriamole più da vicino.

    Attenzione: è la fase di approccio con il cliente, in cui occorre catturare la sua attenzione al fine istaurare un dialogo costruttivo, di rispetto reciproco, focalizzato alla lettura dei bisogni di quest’ultimo. L’attenzione apre la strada alla seconda fase: suscitare Interesse. È questo il momento che il prodotto/servizio offerto gioca da protagonista. Tuttavia, non si tratterà di porre attenzione sul bene o sulla prestazione quanto sui benefici che gli stessi apporteranno ai bisogni espressi dal cliente: in che misura rispondono alle esigenze di quest’ultimo.

    È la fase che apre al Desiderio: rendere appetibile il prodotto/servizio al punto tale che il consumatore-cliente si determini alla necessità di possedere quel bene o di usufruire di quella prestazione al fine di poter beneficiare di tutti i vantaggi fatti percepire. È in questo punto della trattativa che il cliente potrà esprimere ancora nuove esigenze e, da buoni venditori, senza farsi prendere dalla smania di chiudere la trattativa, saper ritornare ad un ascolto attivo capace di leggere i nuovi bisogni espressi e di dare loro argomentazioni a supporto.

    Siamo ora pronti per passare all’Azione: con molta tattica e sorretti sempre da una buona comunicazione, spingere l’acquirente all’acquisto sottoponendo la firma del contratto. Ogni possibile obiezione che potrebbe manifestarsi in questa fase, è da interpretare come la tendenza del cliente a rinviare la conclusione della trattativa o come il bisogno di ottenere maggiori spiegazioni e argomentazioni su qualche aspetto ancora non del tutto chiaro.

    Le quattro fasi descritte, intraprese con spontaneità e senza forzatura alcuna, conducono alla Soddisfazione del cliente ancor prima che quest’ultimo abbia goduto del bene o della prestazione del servizio acquistato. Si tratterà, infatti, di una soddisfazione percepita attraverso le risposte ottenute ad ogni esigenza manifestata.

    E, si sa, ogni cliente soddisfatto è un’“apertura di credito” per affari futuri, per noi stessi e per i nostri beni/servizi, per i nuovi clienti che egli stesso segnalerà (referral).

     



  • C’era una volta il venditore abile comunicatore, capace di impressionare con le sue parole il possibile cliente acquirente, di lusingarlo e adularlo fino ad indurlo all’acquisto di un bene o di un servizio.

    business venditore mercato formazioneUno dei motti di quel tempo era “essere capaci di vendere ghiaccio agli eschimesi!”. Un’immagine e una figura di persona aggressiva, tante volte documentata anche attraverso diverse pellicole: Americani (1992), Il pranzo di Babete (1987), L’uomo delle stelle (1995), La ricerca della felicità (2006) tanto per citarne alcuni. Mordi e fuggi: il tutto, il più delle volte era improntato con l’ottica del <piazzista>.

    Attaccare un prodotto o un servizio a tutti i costi.

    Tutto ciò fin quando i tempi sono cambiati e, soprattutto, è cambiato il mercato: più competizione e clienti sempre più esperti ed esigenti, che hanno indotto più di un cambiamento nello stile del vecchio venditore.

    Quest’ultimo, infatti, facendo leva sulle proprie capacità relazionali, improntate all’ascolto attivo e a leggere i reali bisogni dei clienti, ha assunto sempre più la veste di consulente. Unitamente ad altre qualità/competenze, la consulenza è oggi un elemento chiave della relazione con il cliente: costui la riconosce nella competenza del venditore, nella capacità di leggere i bisogni, di saper consigliare la scelta verso quel prodotto o servizio che, più di ogni altro, è in grado di soddisfare il maggior numero di esigenze espresse.

    Un bagaglio di competenze da sviluppare attraverso percorsi formativi ad hoc anche nel caso di venditori di lungo corso.

    Resta, tuttavia, immutata la concretezza del venditore-consulente: a nulla servono abilità vecchie e nuove se alle stesse non si accompagna la capacità di cogliere il momento giusto nel quale chiudere la trattativa. Senza la firma del cliente non c’è vendita, non ci sono provvigioni che maturano.

    Anche in questa direzione ci sono diverse tecniche utili a comprendere il momento giusto nel quale, dopo la consulenza, occorre passare ai fatti.

    Ne parleremo prossimamente. Tuttavia sarebbe interessante conoscere quali sono quelle che ciascuno mette in campo.