Categoria: Cultura

  • libera 21 marzo

    Sono oltre duemila le piazza italiane coinvolte nella Giornata della Memoria e dell’Impegna, l’appuntamento annuale organizzato da Libera per ricordare le vittime di tutte le mafie. 

    Ogni anno il 21 Marzo, primo giorno di primavera, c’è spazio per la rinascita delle coscienze e per l’impegno concreto di cittadini, istituzioni, imprese e associazioni contro chi utilizza la prepotenza e la violenza per affermare un potere illegittimo.
    LOGO_LIBERA1È il potere della camorra, dell’ndrangheta, di cosa nostra e di tutte le mafie e le organizzazioni criminali che quotidianamente gettano fango e sangue sul territorio italiano.
    Quest’anno la manifestazione principale della 21^ edizione della Giornata della Memoria e dell’Impegno si svolgerà a Messina, ma non sarà l’unica città ad ospitare eventi e cortei. Sono in programma, infatti, manifestazioni in tutta Italia e non solo (previste iniziative anche a Bruxelles, Parigi e Losanna) con oltre 350mila persone coinvolte.
    Collegandovi a questo link potete consultare l’elenco dei comuni, in giro per l’Italia e per il mondo, che ospiteranno iniziative a sostegno della legalità.
    È particolarmente importante che non sia solamente una la città protagonista della Giornata della Memoria e dell’Impegno. Il 21 Marzo sta diventando con il passare degli anni un momento universale di ricordo ed impegno civile, che abbraccia l’intera comunità nazionale.
    Perché per combattere la criminalità organizzata e la corruzione è necessaria prima di tutto la responsabilizzazione della società civile.
    L’eco della Giornata della Memoria e dell’Impegno diventa, dunque, sempre più forte e diffuso. E questo è già un buon punto di partenza.


  • papa francesco telegram

    Papa Francesco su Telegram. Non si tratta di una boutade, ma di un’iniziativa che rientra nel programma Keep Lent portato avanti dalla Pastorale giovanile di Pompei.

    Durante il periodo di Quaresima i fedeli potranno ricevere su Telegram un messaggio audio della durata di un minuto e mezzo, nel corso del quale sacerdoti e catechisti reciteranno e commenteranno dei versetti del Nuovo Testamento.
    papa francesco telegramE per il mercoledì delle Ceneri, primo giorno di Quaresima, è proprio la voce di Papa Francesco ad inaugurare l’iniziativa. Il Pontefice per l’occasione ha commentato il seguente passo del Vangelo «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro. Quando fai l’elemosina non suonare la tromba davanti a te. Il Padre tuo, che vede nel segreto ti ricompenserà (Matteo 6, 1-6. 16-18)».

    Il programma Keep Lent è giunto al suo secondo anno. Nel 2015 l’iniziativa si era svolta attraverso Whatsapp, con la chat appositamente creata che vanta 4.200 iscritti.
    Quest’anno gli organizzatori hanno deciso di dirottare la Pastorale su Telegram. Per poter ricevere ogni giorno sul proprio cellulare i bravi del Nuovo Testamento recitati e commentati, è necessario scaricare l’applicazione di messaggistica istantanea ed iscriversi al canale @PGPompei.
    In pochissime ore sono già arrivate migliaia di richieste. Si tratta di un’iniziativa innovativa che conferma la vocazione moderna dell’attuale Pontefice e che servirà a creare una comunità di fedeli online durante il periodo di Quaresima.



  • Qual è la situazione dell’università italiana in termini di tasse pagate dagli studenti e di borse di studio ricevute?
    Il rapporto di Eurydice svela uno scenario quasi mortificante per i ragazzi italiani, costretti a versare rette sopra la media europea al cospetto di un numero di borse di studio nettamente inferiore rispetto agli altri paesi del Vecchio Continente.

    L’Italia si trova addirittura al terzo posto nella classifica dei paesi con la tassazione universitaria più alta. Al primo posto c’è l’Inghilterra, dove si va da un minimo di 5.429 euro ad un massimo 12.755 euro.
    Al secondo posto troviamo i Paesi Bassi, mentre in Italia la media è di 1.220 euro l’anno, con un minimo di classe-banchi195/199 euro ed un massimo di 2.065 euro.
    Con il passare degli anni, le tasse pagate dagli studenti sono diventate una delle maggiori fonti di finanziamenti dell’intero sistema universitario: nel 2014, infatti, l’università italiana ha versato allo Stato 1,5 miliardi di euro che corrispondono al 24% degli stanziamenti statali verso il mondo accademico.
    Se effettuiamo un confronto con due vicini di casa, come Francia e Germania, notiamo l’enorme differenza sia in termini di tassazione che di coperture degli esoneri contributivi e delle borse di studio.
    In Germania il livello medio delle rette accademiche è di 50 euro; in Francia, invece, la tassazione media è di 184 euro per il primo ciclo e di 256 euro per il secondo.
    Siamo ben lontani, dunque, dagli importi italiani che scollinano i mille euro.

    Un sistema universitario pubblico così esigente dovrebbe garantire, quanto meno, delle agevolazioni per chi possiede un reddito basso e per chi detiene particolari meriti accademici.
    In Inghilterra, ad esempio, dove la tassazione è molto elevata, il 68% di coloro che hanno richiesto una borsa di studio sono riusciti ad ottenerla.
    In Italia accade, al contrario, che solo l’8% degli studenti benefici di una borsa di studio e solo il 12% riceva un esonero completo sulle tasse (in Francia è il 35%).
    Il valore delle borse di studio nel nostro paese va dai 1.925 ai 5.108 euro, quando in Germania 5.300 euro è solo il valore medio dei contributi forniti agli studenti.
    Del resto basterebbe guardare un dato per avere un’idea completa sulla situazione del sistema accademico pubblico italiano: nel 2014 sono stati stanziati 490 milioni di euro per le borse di studio, al cospetto dei due miliardi investiti da Francia e Germania.
    L’Italia è alle prese con un processo di revisione della spesa, che ha portato i diversi governi succedutisi in questi anni a tagliare fondi al mondo accademico. Un simile divario, però, non è sostenibile.
    Cultura, innovazione e ricerca sono alla base dello sviluppo dell’economia moderna, non investire in questi ambiti rappresenterebbe un importante errore di valutazione che rischia di ampliare il gap competitivo con gli altri paesi europei.



  • I professori potranno spendere 500 euro nel corso di ogni anno scolastico per migliorare la propria formazione. In queste ore il premier Matteo Renzi ha firmato il decreto sulla carta elettronica del docente, uno strumento che consentirà ai 762mila professori italiani di acquistare libri (anche in formato elettronico), riviste, spettacoli teatrali, corsi di lingua straniera e qualsiasi altro prodotto utile per la propria formazione professionale.

    tweet renzi buona scuolaLa cosiddetta carta del docente sarà in realtà disponibile a partire dal prossimo anno scolastico. Non ci sono stati, infatti, i tempi tecnici necessari per effettuare un avviso pubblico di selezione dell’istituto finanziario che dovrà rendere disponibile questo strumento per i professori.
    La somma di 500 euro sarà però presente nella busta paga dei docenti già dal mese di ottobre. Questi ultimi dovranno conservare gli scontrini e presentarli al proprio istituto scolastico entro il 31 agosto 2016.
    Le risorse che non verranno spese si aggiungeranno a quelle per il prossimo anno scolastico, ma dovranno in ogni caso essere versate per l’acquisto di beni utili alla propria formazione professionale e non per altri fini.
    Il suddetto decreto rientra all’interno della tanto discussa riforma sulla “Buona Scuola” che ha scatenato mobilitazioni in tutta Italia. La carta elettronica del docente è uno dei pochi provvedimenti apprezzato dalla classe docente, tant’è che il Primo Ministro Matteo Renzi ha voluto pubblicizzare la firma del decreto postando la foto su Twitter.



  • Papa Francesco attua una vera e propria rivoluzione nella giurisdizione dei matrimoni: accogliendo, infatti, le richieste di una parte dei vescovi nei Sinodi del 2005 e del 2014 ha stabilito che saranno i vescovi a decidere sulla nullità dei matrimoni.

    L’intento della riforma, comunicata attraverso una lettera del Pontefice motu proprio, è velocizzare i tempi dell’annullamento del matrimonio e consentire ai divorziati di tornare a ricevere i sacramenti. Una richiesta, quest’ultima, portata avanti in questi anni da tantissimi fedeli.
    Il divorzio impedisce, infatti, a molti cattolici di ricevere il sacramento dell’Eucaristia e di poter formare una nuova famiglia.
    chiesa matrimoniCon la riforma attuata da Papa Francesco, invece, il processo sarà più breve e “in ciascuna diocesi – come riporta la lettera papale – il giudice di prima istanza per le cause di nullità del matrimonio, per le quali il diritto non faccia espressamente eccezione, è il vescovo diocesano, che può esercitare la potestà giudiziale personalmente o per mezzo di altri, a norma del diritto”.
    Il vescovo, in particolare, potrà decidere in via diretta per i casi più semplici, quelli che ad esempio configurano un tradimento da parte di uno dei due coniugi. Qualora, invece, dovesse decidere di indire un processo ordinario, questo dovrà svolgersi entro un anno e la sentenza sarà esecutiva immediatamente se non verrà presentato appello (ci si può appellare all’arcivescovo metropolita più vicino o alla Rota Romana) o se le motivazioni dell’appello saranno palesemente infondate.
    Non saranno più necessarie, dunque, due sentenze perfettamente conformi, aspetto che allungava in maniera rilevante i tempi della decisione.
    Al di là dei contenuti, si tratta di una riforma enorme della materia, se si pensa che non veniva modificata da ben tre secoli, risultando così vetusta rispetto ai cambiamenti avvenuti nella società contemporanea.



  • La classifica Censis per Repubblica sulle migliori università italiane sembra smentire quella pubblicata qualche giorno fa da Il Sole 24 Ore. Alcune realtà, infatti, come Siena, Pavia, Firenze e l’Università della Calabria sono abbastanza penalizzate nella graduatoria de Il Sole 24 Ore ed in vetta a quella di Censis.

    censisA questo punto la vera domanda non è più quale sia il migliore ateneo italiano, ma qual è la migliore classifica sulle nostre università? Difficile avere delle certezza a riguardo.
    Gli indicatori presi in considerazione dalle due ricerche sono diversi e privilegiano determinati aspetti anziché altri. La classifica de Il Sole 24 Ore ha dato spazio, ad esempio, a criteri quali il livello di attrazione verso studenti provenienti da altre regioni o il tasso di occupazione dei propri studenti ad un anno dalla laurea.
    Tutti indicatori che hanno condannato in maniera inappellabile ed inevitabile le università del Sud agli ultimi posti della graduatoria.
    Un verdetto però, quest’ultimo, smentito solo in parte dalla ricerca Censis. Anche nella graduatoria di Repubblica, infatti, gli atenei meridionali sono per lo più agli ultimi posti, fatta eccezione per l’Università della Calabria, terza tra i grandi atenei (20.000-40.000 iscritti).

    Ci sono, dunque, alcune tendenze confermate in entrambe le classifiche come anche il primo posto di Milano Bocconi tra le università private.
    Mentre fra gli atenei statali, al vertice non troviamo Verona ma Siena. L’università senese si conferma in vetta alla classifica di Censis, dove primeggia da qualche anno.
    Siena eccelle soprattutto per i servizi offerti ai propri studenti, coma alloggi, mense, borse di studio, ma ottiene anche degli ottimi punteggi in merito alla presenza sui social.
    Scarso, invece, il rendimento in materia di internazionalizzazione, ovvero la possibilità per i propri studenti di trascorrere un periodo di studio o di effettuare uno stage all’estero.
    Siena rientra nella categoria medi atenei (10.000-20.000 studenti), dove si colloca davanti a Trento e Sassari; tra i mega atenei (oltre 40.000 studenti) al primo posto troviamo Bologna grazie all’efficienza e all’accoglienza delle proprie strutture (aule e biblioteche) davanti a Padova e Firenze.
    Per quanto riguarda, invece, i grandi atenei (20.000-40.000 studenti), guida la classifica Perugia davanti a Pavia e all’Università della Calabria. Tra i piccoli atenei (meno di 10.000 studenti), infine, al primo posto c’è Camerino in provincia di Macerata.



  • Il 25 Marzo del 1995, presso la sede della Cgil di Roma in via dei Frentani, nasceva Libera, un cartello di associazioni contro tutte le mafie.
    Da quel lontano 25 marzo sono passati vent’anni esatti. Nel frattempo Libera è cresciuta, si è fatta le ossa e ha lanciato un messaggio di speranza in tutta Italia. Ha portato alto l’onore ed il nome di tutte le vittime della violenza mafiosa e ha creato una rete di solidarietà con pochi uguali.
    Le iniziative di Libera vedono ogni anno come protagonisti migliaia di persone: giornalisti, imprenditori, magistrati, sacerdoti, politici, associazioni ed altri esponenti della società civile.
    Tutti uniti da un solo pensiero luminoso: l’Italia ripudia tutte le mafie e vuole liberarsi delle sua attività illecite.

    LOGO_LIBERA1Anche noi, come Cooperative Italia, ci uniamo agli auguri effettuati da tantissimi cittadini. Sul sito di Libera, troviamo anche una serie di pensieri scritti da alcuni personaggi famosi, come lo scrittore Roberto Saviano, la presentatrice Geppi Cucciari o i cantanti Caparezza e Luca Barbarossa.
    Un augurio speciale non può che andare a don Lugi Ciotti, ideatore del progetto e primo presidente di Libera. La sua attività quotidiana per l’associazione è un dono per il nostro paese, così come la sua perseveranza e dedizione alla causa devono fungere da esempio per tutti i cittadini del mondo.

    Non più tardi di sabato scorso, si è tenuta a Bologna la consueta manifestazione del 21 Marzo, nella quale vengono ricordate le vittime di tutte le mafie. Più di duecentomila persone si sono riversati sulle strade di Bologna per dire il loro NO alle associazioni di stampo mafioso e per commemorare quanti hanno dato la propria vita per rendere l’Italia un paese migliore.
    La speranza è che la riscossa civile auspicata da Libera possa diventare reale nei prossimi anni. La sensibilità sulle tematiche della legalità è aumentata nell’ultimo decennio, sensibilità che però si scontra con una società sempre più violenta ed attratta dalle logiche di potere tipiche delle associazioni mafiose.
    Il connubio politica-mafia-impresa è sempre più forte: per questo motivo una rivoluzione civile e civica della società nella sua interezza è quanto di meglio l’Italia possa augurarsi: perché liberare il nostro paese dalla mafia significa scommettere sulle reali virtù degli italiani. Una scommessa che può e deve essere vinta.



  • Dopo tanti rinvii e polemiche, il decreto legge sulla “Buona Scuola” è stato approvato in Consiglio dei Ministri ed è pronto ad arrivare in Parlamento.
    Sono molte le misure innovative, destinate a far parlare di sé.
    Il punto più critico riguardava l’assunzione dei migliaia di precari del sistema scolastico, inseriti in vere e proprie “liste di attesa” per anni senza poter avere una cattedra.
    Si tratta di persone abilitate all’insegnamento, ma impossibilitate a farlo a causa della carenza di posti e risorse.

    Il Governo è intervenuto stabilizzando, a partire dal primo settembre 2015, circa 100mila professori presenti nelle graduatorie ad esaurimento (Gae). Vengono lasciati fuori dal provvedimento circa 50mila insegnanti, che avevano sperato in un primo tempo di essere assunti, ma dovranno attendere almeno un anno.
    Sono quelli inseriti nelle graduatorie di istituto e di seconda fascia e gli “idonei al concorso del 2012”.
    Questi ultimi dovranno aspettare il nuovo concorso del 2016, ricorsi permettendo.

    classe-banchiL’aspetto, però, a nostro avviso maggiormente problematico del decreto la Buona Scuola (?) riguarda il rinnovato potere dei presidi. I dirigenti scolastici si dovranno comportare come dei veri e propri manager di un’azienda.
    Ci sarà, infatti, una più ampia autonomia in capo alle singole scuole nella scelta dei programmi didattici e degli organici funzionali. Il preside potrà valutare i curricula dei propri insegnanti (che saranno pubblici ed online) ed inserirli nelle classi in base alle esigenze del momento.
    Ma cosa ancora più importante, spetterà al preside la valutazione dei professori: in base ad essa potrà decidere se premiarli o meno attraverso degli incentivi remunerativi.
    Il Governo ha previsto, infatti, lo stanziamento di 200 milioni di euro per gli insegnanti “migliori”. Inizialmente sembra che questa categoria potesse usufruire addirittura degli scatti merito, ma dopo le polemiche dei giorni scorsi l’esecutivo ha deciso di mantenere gli scatti di anzianità, disponendo semplicemente degli incentivi materiali per il 5% dei professori più meritevoli di ogni singola scuola.

    Qui, però, sorge un problema non di poco conto. Secondo quali criteri il preside, sentito il Consiglio d’Istituto, potrà decidere di far scattare questi premi? Il Governo sul punto è stato abbastanza vago, lasciando ampio margine di manovra ai singoli dirigenti scolastici.
    Probabile si decida di intervenire più avanti attraverso la legge delega sulla valutazione degli insegnanti. In questo modo, però, si lascia troppo potere ai presidi e si potrebbe andare in contro a scelte poco responsabili.
    Renzi promette massima severità per i dirigenti che non saranno in grado di svolgere questo compito, ma rimarrà comunque difficile controllare singole situazioni anomale.
    Giova ricordare che la scuola non è un azienda e non opera secondo i canoni del profitto e dell’efficienza. Bene l’incentivazione del merito e della qualità dell’insegnamento, ma inserire i principi competitivi del libero mercato all’interno del mondo scolastico può essere controproducente e per certi aspetti pericoloso.



  • Dal 3 novembre 2014 la mancata annotazione sulla carta di circolazione del nome di chi non è intestatario del veicolo ma ne ha la disponibilità per più di 30 giorni verrà sanzionata con una multa di 705 euro a cui aggiungere la ben più pesante conseguenza del ritiro della carta di circolazione. È questo il risultato delle
    03112014
    modifiche apportate al nuovo codice della strada (in particolare all’articolo 94 comma 4-bis) dalla legge n. 120/2010 e regolate dal D.P.R. 28 settembre 2012, n. 198 che è entrato in vigore il 7 dicembre 2012, ma che diventeranno appunto operative solo dal prossimo 3 novembre in occasione della definizione delle relative procedure informatiche. Le nuove disposizioni non avranno effetto retroattivo nel senso che, come precisato dalla maxi circolare del Ministero delle Infrastrutture dei Trasporti n. 15513 emanata il 10 luglio 2014, a quasi due anni di distanza dalle modifiche sopra richiamate, dovranno annotarsi solamente gli utilizzi di veicoli disposti a decorrere dal 3 novembre 2014 e non anche quelli pregressi pur in corso alla predetta data.
    Per i veicoli messi a disposizione in data antecedente al 3 novembre 2014 non vi è nessun obbligo particolare ma è opportuno, al fine di evitare inutili contestazioni, dare data certa all’identificazione dei soggetti utilizzatori dell’autovettura (Circ. n. 18 del 27 ottobre 2014 della Fondazione studi consulenti del lavoro).
    Di seguito una dichiarazione (da redigere per ogni singola autovettura e/o automezzo) a firma del rappresentante legale della società con la quale indicare i soggetti autorizzati all’uso delle autovetture aziendali (documento da tenere in auto benché ciò non sia obbligatorio).



  • Francesi di origine algerina, figli delle banlieues parigine. Potrebbe essere questo un primo identikit di Chérif Said Kouachi, gli attentatori della strage di Charlie Hebdo.
    I due fratelli, 32 e 34 anni, sono l’emblema di quella Francia periferica ed inascoltata, che riemerge alle cronache solo in casi come questi, quando il degrado sociale si sposa con la violenza barbara.

    je suis charlieIl percorso tragico dei fratelli Kouachi parte da Gennevilliers, banlieue della periferia parigina. Un luogo così vicino eppure così distante dalla gloriosa capitale francese. Chérif e Said crescono in una casa famiglia, orfani di entrambi i genitori.
    Sappiamo poco della vita di Said, il maggiore dei due. I contorni dell’esistenza di Chérif sono, invece, più chiari.
    La sua storia potrebbe essere quella di tanti francesi di fede musulmana, residenti nelle periferie del paese.
    Amante del rap e delle belle donne, musulmano “occasionale”. Così si autodefiniva prima dell’incontro con Farid Benyettou, imam della moschea Adda’Wa di rue de Tanger.
    Sarà questa frequentazione a cambiare la vita di Kouachi e a segnare la storia di altre dodici persone. Benyettou è un predicatore molto conosciuto, manipola i fedeli e li convince della bontà della jihad. Riesce ad arruolare un numero cospicuo di persone per andare a combattere la guerra santa in Iraq.

    Tra questi c’era anche Chérif, ma il più giovane dei due fratelli Kouachi non partirà mai, perchè arrestato dalle autorità francesi. Tre anni di carcere, ridotti a 18 mesi con la condizionale.
    Un periodo non lunghissimo, ma ugualmente importante per la sua completa conversione al fondamentalismo islamico. In carcere conosce, infatti, Djamel Beghal, condannato a dieci anni per aver progettato un attentato, poi sventato, all’ambasciata americana a Parigi.
    Indottrinamento ed addestramento militare: sono queste le due parole chiave della vita di Kouachi in carcere. Chi lo conosce parla di lui come totalmente cambiato dopo la sua esperienza carceraria. Le autorità non escludono un possibile arruolamento di Chérif in Siria o in Yemen, una sorta di preparazione militare e psicologica a quanto poi sarebbe avvenuto il 7 gennaio scorso.
    Alcuni parlano di “cellula familiare”, allontanando dunque i Kouachi da qualsiasi tipo di legame con Al Qaida e altre organizzazioni terroristiche. Ma il gruppo di Beghal ha importanti legami anche con Salim Benghalem e Boubaker Al Hakim, due esponenti di primo piano del terrorismo di stampo islamico in Siria e Tunisia.
    Uno scenario, dunque, ancora lontano dall’essere chiaramente definito.



  • Dalla Bastille Saint-Antoine al numero 10 di rue Nicolas-Appert. La Francia si guarda allo specchio e ritrova sè stessa. Un paese ricco di valori e di lacerazioni, espressione delle libertà e delle sue contraddizioni.
    Una Francia vittima e sposa della sua identità nazionale.
    Dal quel 14 luglio del 1789 a questo tragico 7 gennaio 2015, i francesi hanno scoperto il valore dei diritti e oggi, nel giorno del dolore, innalzano la bandiera della libertà.
    Il laicismo, in quanto tale, non è un dogma. È un credo razionale, rappresenta la forma moderna della religione illuminista. Charlie Hebdo era questo e tanto altro. E lo sarà ancora, nonostante gli attacchi al cuore, al cervello alla creatività di una realtà editoriale controversa, ma libera.

    le parisienSono le 11:30 del 7 gennaio 2014, quando due terroristi armati di kalashnikov fanno irruzione all’interno della redazione del giornale satirico Charlie Hebdo.
    Inizialmente sbagliano numero civico, poi riescono ad arrivare al secondo piano del numero 10 di rue Nicolas Appert.
    In quel momento si sta svolgendo la riunione di redazione. Sono presenti le principali firme dal settimanale: dal direttore Stéphane Charbonnier detto Charb, allo storico vignettista Wolinski, Tignous, Cabu.
    I terroristi li invitano singolarmente a dire il proprio nome e poi li freddano al grido di “Allah Akbar!” “Allah è il più grande”.

    Il profeta di Allah, Maometto, è l’oggetto principale delle vignette satiriche di Charlie Hebdo: lui, come altre figure di carattere religioso, di un giornale che fa del laicismo il proprio vessillo.
    La rappresentazione irriverente del profeta è considerata un’operazione blasfema per la religione islamica. Vi è il divieto assoluto di raffiguare Allah e Maometto.
    Una tradizione musulmana tramandata di generazione in generazione ed assunta a motivo di odio, da chi di odio si nutre quotidianamente.
    Gli attentatori si professano di Al Qaeda, quell’organizzazione terrorista che nulla ha a che vedere col messaggio di pace dell’Islam e che rischia di gettare il mondo in una guerra civile, politica e religiosa perenne.

    Sono dodici le vittime, tra giornalisti, inservienti e poliziotti. Una strage che ha pochi eguali nella storia dell’Europa e della Francia. Molti l’hanno definito l’11 settembre europeo, le definizioni, però, come le parole, lasciano il tempo che trovano. I giornalisti di Charlie Hebdo conoscevano i rischi del proprio operato. Già nel 2011, una bomba molotov aveva distrutto la precedente sede. Le minacce terroristiche continuavano a rimanere latenti.
    Certo, mai si sarebbero aspettati un attacco di una simile portata. Due uomini addestrati al male e alla morte, soldati di una guerra inesistente e persa in partenza.

    La libertà di stampa ed il laicismo sono stati feriti gravemente, ma rimarranno in piedi. Charlie Hebdo è una delle espressioni più estreme e discutibili di questi due valori. Ma proprio la sua carica provocatoria connota la stampa della sua dimensione essenziale: la libertà.
    Dalla Bastille Saint-Antoine al numero 10 di rue Nicolas Appert, il suo cammino di verità proseguirà spedito.