Categoria: Web & SEO


  • Ne avrete sentito parlare a lungo in questi giorni e vi sarete più volte chiesti: che cos’è la Cookie Law e cosa sono i cookies? La Cookie Law è un insieme di prescrizioni dettate dal Garante per la protezione dei dati personali.
    Il provvedimento risale all’8 maggio 2014 ed arriva in attuazione della direttiva europea 2009/136. L’obiettivo è proteggere gli utenti dai rischi derivanti dall’accesso in rete ai propri dati personali.
    Ogni qual volta, infatti, ci colleghiamo su un sito o su un social network vengono immesse sul browser delle informazioni sull’utente, i “cookies” per l’appunto, che consentono di effettuare una vera e propria profilazione del soggetto interessato.
    È possibile conoscere quale genere di libro o di film è il nostro preferito, qual è la nostra squadra del cuore e in generale ottenere altre notizie sensibili o meno sulle nostre abitudini e sui nostri interessi.
    Questo tipo di profilazione è molto utilizzata negli Stati Uniti anche per fini di marketing elettorale, per individuare le preferenze politiche degli elettori e di qui scegliere la strategia migliore da adottare.

    cookie lawA partire dal 3 giugno, a distanza di più di un anno, è diventato obbligatorio adeguarsi alla Cookie Law. Avrete notato, infatti, la comparsa massiccia di banner in giro per il web nei quali viene specificato l’utilizzo di cookies. L’utente deve manifestare il proprio consenso all’uso dei cookies affinché l’editore possa effettivamente procedere con questa operazione.
    Ma siamo sicuri che un simile provvedimento aiuti a migliorare la situazione in materia di privacy e trattamento dei dati personali? La maggior parte degli utenti non sa cosa sia realmente un cookie e reputa le varie informative presenti sui siti quasi come un disturbo alla propria navigazione.
    A rimetterci, in realtà, non sono le grandi imprese e i grandi siti, ma le piccole realtà del web, anch’esse obbligate ad adeguarsi alla nuova normativa I cookies rappresentano per queste entità uno strumento molto importante per ottimizzare la navigazione e conoscere il target di visitatori posseduto dal proprio sito.
    La nuova regolamentazione obbliga, ad esempio, ad utilizzare Google Analytics oscurando parti rilevanti dell’indirizzo Ip e senza la possibilità di incrociare le informazioni ricevute.
    Si vengono così a limitare ulteriormente gli strumenti in possesso dei piccoli editori, in un momento storico di grave crisi del settore.



  • Affidare ad Enel il controllo delle reti infrastrutturali italiane, compresa la diffusione della banda ultralarga su tutto il nostro territorio. È questa l’idea del Governo, emersa negli ultimi giorni, che rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione nel mondo delle telecomunicazioni.
    Si tornerebbe così ad una gestione pubblica delle infrastrutture, ponendo fine al monopolio di Telecom. L’idea dell’esecutivo è sfruttare la presenza capillare di Enel su tutto il territorio italiano per implementare la fibra ottica, senza che il colosso elettrico abbia alcune pretese dal punto di vista della gestione della rete.
    A quel punto si aprirebbe una reale competizione tra le compagnie telefoniche, realizzando così una positiva liberalizzazione del settore.

    agenda-digitaleIl piano di investimenti, deliberato recentemente dal Consiglio dei Ministri, prevede uno stanziamento di circa 6 miliardi di euro ed una serie di incentivi fiscali per quegli operatori che decidono di implementare sul territorio le strutture necessarie per la diffusione della connettività veloce.
    Il progetto presentato prevede la convivenza delle strutture a fibra ottica ed quelle in rame. Un eventuale spegnimento obbligatorio del rame avrebbe causato, infatti, una sorta di “guerra fredda” contro Telecom, che su questa tecnologia ha sempre investito ed ha intenzione di farlo anche nel prossimo futuro.
    La mediazione trovata attraverso il decreto legge verrebbe meno, però, con l’entrata in scena di Enel. Il progetto presentato dall’ente energetico prevede difatti l’installazione delle strutture a fibra ottica su tutto il territorio italiano da effettuare nei prossimi tre anni, che sancirebbe di fatto la fine dell’”epoca del rame”.
    Per adesso si tratta solo di un’ipotesi da verificare nei prossimi giorni, ma sarebbe senza dubbio un duro colpo per Telecom che nelle settimane precedenti ha raggiunto un accordo con Fastweb per sperimentare la doppia struttura in rame e a fibra ottica.
    L’Italia, ad ogni modo, dovrà agire in maniera celere per colmare il gap con gli altri paesi europei in materia di connettività veloce e per raggiungere gli obiettivi posti dall’Agenda digitale europea (arrivare al 2020 con una connessione di 30 mega per tutta la popolazione europea e di 100 mega per il 50% degli europei).



  • Non più Metroweb, Telecom Italia sceglie Fastweb per implementare la banda ultralarga su tutto il territorio. Secondo le indiscrezioni riportate da più organi di stampa, l’ex azienda monopolista avrebbe siglato un accordo con Fastweb fino al 2016 per iniziare la fase di sperimentazione e sviluppare soluzioni sia in rame che in fibra che possano portare a raggiungere nei prossimi anni i 100 mega di velocità.
    La questione della banda ultralarga è diventata al centro del dibattito pubblico negli ultimi mesi. Il ritardo del nostro paese in materia di cultura digitale e dunque di accesso alla rete e di connettività veloce (solo il 21% della popolazione italiana ha accesso ad una connessione Internet a banda ultralarga contro il 64% della media europea, con una velocità media, tra l’altro, inferiore a 10 Mps) ha posto il Governo spalle al muro, inducendolo ad approvare, dopo anni di attesa, un decreto legge che prevede corposi investimenti per lo sviluppo della connettività veloce.
    Sono previsti circa 6 miliardi di finanziamenti ed una serie di sgravi fiscali, soprattutto per gli operatori che si assumeranno il rischio di investire nelle cosiddette “aree a fallimento sicuro”, come il Mezzogiorno e le zone montane.
    L’obiettivo è rispettare le finalità poste dall’Agenda Digitale Europea, ovvero arrivare al 2020 con una connessione di 30 mega per tutta la popolazione europea e di 100 mega per il 50% degli europei.

    umanitàIl decreto in questione va incontro a Telecom Italia, non obbligandola a spegnere il rame dopo anni di sviluppo di questa tecnologia. Sarà possibile, dunque, sviluppare strutture sia in rame che in fibra. Proprio su questa linea si è mossa l’azienda italiana, siglando l’accordo con Fastweb.
    L’intesa prevede l’installazione di un’unica cabina che possa massimizzare costi e velocità; per maggio è prevista la prima fase di sperimentazione nei laboratori delle due aziende; da ottobre, invece, inizierà la fase di sperimentazione sul campo con l’installazione di strutture Fttc (fibra ottica fino all’armadio e rame fino a casa) in alcune città italiane.
    Il no a Metroweb rappresenta una presa di posizione forte da parte di Telecom, che in questo modo dimostra al Governo di poter andare avanti per la propria strada.
    L’esecutivo spingeva, infatti, per la collaborazione con la rete di fibra finanziata dai fondi F2i (Fondi italiani per le infrastrutture) e FSI (Fondo Strategico Italiano), ma il no degli azionisti alla proposta di Telecom di prendere il controllo del 100% di Metroweb nei prossimi cinque anni ha frenato la trattativa e ha dirottato l’ex monopolista verso l’intesa con Fastweb.



  • Non avrà tempi rapidi di attuazione il piano banda ultralarga lanciato circa un mese fa dal governo Renzi.
    L’esecutivo ha previsto lo stanziamento di 6 miliardi di euro per implementare strutture a fibra ottica e spingere i soggetti privati ad abbandonare gradualmente il rame.
    Il piano d’intervento del Governo è però ancora piuttosto vago, soprattutto in merito alla copertura di tali finanziamenti. Delle risorse stanziate solo 2 miliardi, gestiti dalle regioni attraverso i fondi Fesr e Feasr, ssaranno disponibili fin da subito.
    I restanti 4 miliardi, presenti nel Fondo sviluppo e coesione, invece, potranno essere utilizzati solamente a partire dal 2017. Ma c’è di più.

    agenda-digitaleL’idea del Governo è di favorire soprattutto le regioni del Sud, vincolando così l’80% delle risorse ad investimenti nel Mezzogiorno. Un quadro che appare abbastanza squilibrato, considerando anche la forte domanda di banda ultralarga presente al Nord.
    Per questo motivo sarà necessario un nuovo accordo con le Regioni, le quali chiederanno certamente un maggiore impegno per dotare le zone settentrionali delle strutture a fibra ottica.
    Ci sono, dunque, ben 4 miliardi di euro bloccati e non sarà facile renderli disponibili nel breve periodo, almeno che non si decida di coinvolgere la Banca europea degli Investimenti attraverso un prestito, come paventato in questi giorni.

    Sul decreto del Governo pesa, però, anche la scure dell’Unione Europea. Bruxelles, infatti, ha chiesto al nostro esecutivo un documento più dettagliato nel quale vengano illustrate quali sono le fonti di finanziamento e le modalità attraverso le quali sono previsti gli incentivi fiscali per gli operatori privati che decideranno di investire nelle strutture a fibra ottica.
    Sappiamo benissimo come l’Ue sia molto attenta ai vincoli di bilancio e a come vengono utilizzate le risorse pubbliche. Per questo motivo vuole vederci chiaro e capire inoltre se ci siano problemi in materia di libera concorrenza.
    Il documento richiesto sarà pronto entro aprile ha assicurato Raffaele Tiscar, vicesegretario di Palazzo Chigi e coordinatore del gruppo di lavoro sul tema.
    Rimangono comunque delle perplessità per un’Italia che viaggia a velocità ridotta, ma c’era da aspettarselo visto i tempi biblici che caratterizzano la nostra burocrazia. La digitalizzazione, dunque, per adesso può attendere, in attesa di tempi e velocità migliori.



  • La diffusione della cultura digitale passa attraverso i territori. L’implementazione delle nuove tecnologie a livello locale favorisce nuovi metodi di aggregazione e di interazione, anche tra generazioni diverse.
    Rendere libera la connessione wi-fi all’interno dei circoli ricreativi, frequentati per lo più da persone anziane, può essere, ad esempio, un ottimo veicolo di diffusione dei digital devices tra quei cittadini che non sono abituati ad utilizzarli.
    Viene così meno lo stereotipo secondo il quale le nuove tecnologie causerebbero solamente un sentimento di alienazione verso la realtà: Internet, i social network e gli strumenti digitali, al contrario, possono dar vita a rinnovati processi aggregativi, avvicinando, come accennato in precedenza, giovani ed anziani.

    È proprio questo l’obiettivo del progetto “Iperbole FA Centro”, promosso e realizzato da ANCeSCAO Bologna nell’ambito dell’Agenda digitale del Comune di Bologna.
    Nelle giornate di Venerdì 27 Marzo, Martedì 31 Marzo e Martedì 7 Aprile, trenta centri socio-culturali bolognesi verranno proclamati centri digitali.
    Questo nome vi risulterà abbastanza nuovo. La dizione di “centro digitale” si spiega con l’installazione presso questi circoli di trenta router wi-fi che consentiranno il libero accesso alla connessione Internet della rete Iperbole.

    agenda-digitaleL’idea è per certi aspetti rivoluzionaria. Sappiamo benissimo come, a differenza di molti centri urbani europei, le città italiane non siano all’avanguardia in tema di banda larga e wi-fi gratuito.
    Non più tardi di qualche settimana fa il Governo è dovuto intervenire con un decreto legge, attraverso il quale dà il via a corposi investimenti per l’implementazione di connessioni a banda ultra larga su tutto il territorio italiano, provando a colmare il gap che divide l’Italia dal resto d’Europa.
    Il progetto “Iperbole FA Centro” ha una duplice valenza: da una parte, rende disponibile l’accesso al wi-fi ad una più ampia platea di persone dislocate in varie zone della città; dall’altra, contribuisce alla diffusione della cultura digitale anche tra la popolazione anziana, che rappresenta il più assiduo frequentatore dei circoli ricreativi.
    Da questo punto di vista, i digital devices possono rappresentare il miglior strumento di integrazione ed interazione tra due mondi, quello dei giovani e degli anziani, troppo spesso incomunicabili tra di loro.
    Ecco l’elenco delle zone della città e dei centri interessati dal progetto:

    Quartiere Borgo Panigale: Villa Bernaroli, Il Parco;

    Quartiere Navile: Villa Torchi, Croce Coperta, Casa Gialla, Pescarola, Montanari;

    Quartiere Reno: Rosa Marchi, Santa Viola;

    Quartiere Porto-Saragozza: Costa, Saffi, Due Agosto 1980; Della Pace;

    Quartiere Santo Stefano: Lunetta Gamberini,  Stella, Baraccano, Dall’Olio;

    Quartiere Savena: Villa Mazzacorati, San Rafel, Casa del Gufo, Foscherara, Villa Paradiso, La Dacia;

    Quartiere San Donato: Italicus, Pilastro, Oltre, Pallone, Frassinetti;

    Quartiere San Vitale: Croce del Biacco, Scipione dal Ferro, Ruozi.



  • I digital devices hanno rivoluzionato la nostra attività lavorativa e la nostra vita quotidiana.
    Ma il processo di innovazione tecnologica evidentemente non ha coinvolto solo gli adulti, ma anche e sopratutto i bambini.
    I più piccoli fanno un uso corrente di smartphone, tablet, videogames e social network, spesso senza ricorrere neppure all’ausilio dei genitori.

    Un’indagine di Censis per il Corecom Lazio ci svela alcuni dati interessanti sulle abitudini “digitali” dei bambini nella Regione Lazio. Secondo il suddetto rapporto dal titolo “Media consapevoli, genitori responsabili, tutela dei minori”, più del 50% dei bambini di età compresa tra i 6 ed i 7 anni usa abitualmente il tablet.
    Si parla di un utilizzo che va da un minimo di un’ora ad un massimo di quattro ore.
    Per i bambini di 10 anni la percentuale cresce arrivando addirittura al 60%.

    DipendentiNon solo videogiochi, dunque. I cosiddetti videogames rimangono comunque un’attrattiva importante per i ragazzi di questa età, visto che quasi un bambino su due viene definito come un giocatore assiduo.
    Ci sono, però, altri strumenti digitali maggiormente in voga tra i più piccoli. Le stesse tendenze che interessano gli adulti abbracciano a 360° gradi i bambini, i quali cercando di emulare genitori e parenti e anzi provano una certa naturalezza nell’interagire con queste nuove realtà tecnologiche.
    Del resto non potrebbe essere altrimenti dal momento che sono nati nel momento dell’esplosione di tutto ciò che è “smart” e “digital”.

    A proposito di “smart”, anche i dati sull’utilizzo dei telefoni cellulari di nuova generazione sono per certi aspetti impressionanti. Il 22% dei bambini di età compresa fra i 6 ed i 7 anni, infatti, usa uno smartphone per almeno un’ora al giorno.
    A questa età, invece, ancora non è assiduo l’utilizzo dei social network, mentre è enormemente diffusa la visione di programmi in Tv e su Internet, anche in streaming.
    Molto spesso, addirittura, i bambini accedono a questi strumenti senza l’ausilio dei propri genitori: il 70% dei bambini di sette anni accende la televisione da solo ed il 26% apre Internet senza alcun aiuto dei genitori.
    In generale le famiglie sono molto preoccupate per la violenza ed i valori veicolati nei programmi trasmessi sia sul web che in tv. Di fatto non esiste più alcuna distinzione fra fascia protetta e fascia non protetta, anche perché i bambini si servono di questi strumenti a tutte le ore ed in maniera totalmente autonoma.



  • Il piano del Governo è stato lanciato: 6 miliardi di euro per l’implementazione della rete a banda ultralarga su tutto il territorio nazionale.
    L’obiettivo è chiaro: arrivare al 2020 con il 100% della popolazione italiana coperta con una rete da almeno 30 Mega ed il 50% con una connessione da 100 mega.
    Le modalità di attuazione sono ancora incerte. Il Governo, però, nella persona del sottosegretario allo Sviluppo Economico, Antonello Giacomelli, ha lanciato l’allarme, invocando una collaborazione tra pubblico e privato, perchè lo Stato “da solo non ce la fa!”

    Una dichiarazione tutto sommato nella norma. Gli investimenti della mano pubblica saranno corposi e beneficeranno anche dei fondi europei. Ma non basteranno.
    Ci vuole un intervento anche dei privati, per questo negli ultimi giorni si è fatta avanti l’ipotesi della creazione di una società che veda coinvolti diversi operatori telefonici, tra i quali ovviamente Telecom, Wind e Vodafone.
    Un’operazione che potrebbe creare non pochi problemi di convivenza e che, non a caso, ha trovato l’immediata smentita da parte di Telecom, per bocca del suo amministratore delegato, Marco Patuano: “Andiamo avanti da soli. Non c’è nessuna ipotesi di lavorare su percorsi societari diversi dai nostri investimenti”.

    Jobs act via i Co.co.pro e modifiche alle Partite IvaInvestimenti che Telecom ha già programmato per il futuro, ma che incontrano alcune perplessità da parte del Governo e dell’Agcom. L’azienda di telecomunicazione ha appena lanciato un piano da 3 miliardi di euro per il nostro paese, privilegiando, però, la tecnologia Fttc, che prevede la fibra ottica  solo fino all’armadio stradale e poi il  doppio filo di rame fino all’abitazione.
    Secondo l’Agcom una simile tecnologia è funzionante solo c’è un solo operatore collegato, ponendo così alcune questioni sul piano della concorrenza e del libero mercato.
    L’Fttc porterà comunque la connessione a 50 Mega in tutte le città coinvolte. Solamente dal 2017, invece, Telecom investirà sulla fibra ottica fino a casa (Ftth), con uno stanziamento di 500 milioni di euro in tre anni.
    Gli obiettivi dell’Agenda digitale europea sono ancora lontani, soprattutto per l’Italia, ultima tra i paesi europei in materia di banda larga. Per questo motivo è quantomai necessario trovare un accordo tra pubblico e privati, che preveda il definitivo superamento delle tecnologie in rame e l’implementazione degli strumenti a fibra ottica.



  • Ci sono le persone romantiche e quelle moderne. O almeno così dicono, come se non fosse possibile conciliare le due cose.
    Essere amanti delle nuove tecnologie non significa necessariamente disprezzare la tradizione. Del resto è solo grazie agli insegnamenti tecnici e teorici passati che è possibile concepire il concetto di progresso e sperimentare qualcosa di nuovo.

    ctuÈ possibile applicare questo concetto alla battaglia tutta moderna tra i vecchi libri su supporto cartaceo ed i nuovi e-book. Le tecnologie moderne hanno letteralmente rivoluzionato la nostra vita quotidiana, cambiando le nostre abitudini e consentendoci di svolgere determinate funzioni impensabili fino a qualche anno.
    Eppure ci sono alcuni digital devices che faticano ad imporsi sul mercato mondiale e a sostituire strumenti tradizionali.
    Il riferimento è proprio ai libri digitali, i quali pagano dazio nel confronto con i libri cartacei.
    L’odore della carta ed il romantico rumore della pagina sfogliata mantengono intatti il loro fascino. Il costo minore degli e-book ed il loro carattere multi task non è sufficiente per entrare nel cuore dei lettori.
    Lo ha ribadito un recente sondaggio del Washington Post, secondo il quale solo il 9% degli studenti universitari americani legge un libro sotto formato digitale. E non stiamo parlando di gente “old school” ma di persone che sono nate e cresciute nell’era digitale.
    I giovani ritengono che leggere un libro cartaceo aiuti a studiare con più attenzione, consentendo inoltre di sottolineare i passaggi chiave e di prendere appunti all’interno della stessa pagina. Una concezione dello studio, questa sì “old school” e destinata a non tramontare mai.

    Ma veniamo alla notizia del giorno. Questa volta il duro colpo agli ebook viene addirittura dalla Corte di Giustizia europea.
    Una sentenza dell’organo giurisdizionale continentale boccia l’Iva agevolata sugli e-book presente in Lussemburgo ed in Francia. Una pronuncia destinata ad avere degli effetti anche in Italia, visto che proprio di recente è stata approvata una legge che pone l’Iva sui libri digitali al 4%.
    In Francia, per fare un esempio, la suddetta tassa è al 5,5%. Capiamo benissimo, dunque, come anche il nostro paese sarà costretto a modificare la propria normativa.
    La motivazione della sentenza sta tutta nella definizione stessa di e-book. La Corte di Giustizia si esprime, infatti, in questi termini: “Le norme europee vietano la possibilità di applicare un’Iva ridotta a qualunque servizio fornito per via elettronica”.
    Gli e-book vengono, dunque, concepiti come un servizio e non come un semplice bene, sul quale sarebbe stato possibile apporre una tassazione diversa.
    In generale l’Unione Europea prevede delle tariffe agevolate per i libri solamente se il supporto fisico è parte integrante del libro stesso, come avviene per il cartaceo. Non è il caso degli e-book, in quanto il computer o il tablet non sono forniti insieme al libro digitale, dunque non sono considerati parte integrante di essi.
    Si tratta, comunque, di una sentenza di un certo rilievo perché impedisce agli Stati di defiscalizzare l’utilizzo dei libri digitali. Solo grazie ai prezzi ridotti questi ultimi riescono ad ottenere un vantaggio competitivo rispetto al cartaceo, vantaggio che potrebbero rischiare anche di perdere.



  • Il Social Media Marketing non è solo un’esigenza del momento, ma un vero e proprio imperativo categorico.
    Ci scuserà Kant per avere preso in prestito e forse banalizzato il suo concetto di alta statura morale, ma rende bene l’idea della solennità con la quale un’impresa deve approcciarsi al mondo social.
    Molte aziende lo hanno capito, alcune (poche per la verità) sono tendenzialmente restie ad investire sui social network.
    Cosa c’entrerà mai Facebook o Twitter con la promozione dei nostri prodotti? Diranno i più scettici.
    La nostra risposta potrebbe, anzi andrà oltre la mera elencazione di dati sulla correlazione tra una buona operazione di marketing su Facebook e la crescita in termini di vendite.
    Andremo oltre perché è il mondo del marketing stesso a farlo, ritenendo i social media tradizionali (Facebook e Twitter) in parte superati e sta esplorando nuove frontiere (ogni riferimento a Whats app e ad altre piattaforme di messaggistica istantanea è puramente voluto).

    socialProviamo, però, a soffermarci un momento su quello che è ancora oggi il social network più utilizzato dagli italiani. Il riferimento, ovviamente, è a Facebook.
    Socialbakers.com , come sempre imprescindibile per queste tematiche, ci fornisce i dati relativi al mese di gennaio sulle top aziende e sui migliori media sulla piattaforma Facebook.
    Sono molteplici le variabili che ci consentono di verificare la presenza più o meno efficace di un brand sui social media. In questa sede ci limiteremo a riportare alcuni numeri che ci danno semplicemente una misura quantitativa della questione.

    Innanzitutto diamo uno sguardo al numero di Mi Piace delle pagine Facebook delle migliori aziende italiane. Al primo posto c’è Nutella della Ferrero, non a caso una delle imprese nostrane di maggior successo nel globo.
    Su un totale di oltre 30 milioni di Mi Piace, 4.620.154 ovvero il 15.1 % provengono dall’Italia, a dimostrazione del fatto che il brand Nutella è davvero un leader nel settore e non solo nel nostro paese.
    Se ci spostiamo poco più indietro troviamo tre colossi mondiali come Amazon, Samsung e Coca Cola. Parliamo di tre brand diversi per attività e prodotti sul mercato. Coca Cola è un marchio storico che, nonostante il passere del tempo, mantiene sempre un fascino inalterato, soprattutto sui più giovani.
    Amazon e Samsung, invece, si inseriscono a pieno nella modernità, operando nel campo dell’e-commerce e delle tecnologie digitali. La loro ascesa è sotto gli occhi di tutti e la classifica dei Mi Piace è solo un piccolo indicatore delle rilevanza di queste due aziende nello scenario italiano e mondiale.
    Passando ai media, il leader in termini di likes è FanPage.it con 3 356 402 di mi piace italiani, equivalenti al 90.5 % del totale. FanPage sfrutta il carattere partecipativo ed indipendente del proprio canale, diffondendo notizie originali provenienti da tutto il mondo, in grado di scatenare la curiosità degli utenti.
    Seguono a ruota la Republica, Real Time, Radio Italia ed Mtv Italia.

    Ci sono poi altri indicatori più dettagliati per analizzare l’attività social dei vari brand. Uno di questi è il cosiddetto Post Rate Engagement. Quest’ultimo misura la percentuale di persone raggiunte da un post, ovvero il numero di like, condivisioni, commenti e click di un post su Facebook.
    Sicuramente gli stimoli in tal senso sono in crescita sui social network: il numero di post sponsorizzati aumentano vertiginosamente, quindi è difficile che essi possano raggiungere i tassi di interazione di qualche anno fa.
    Ad ogni modo nel mese di gennaio il primo posto è stato ottenuto da Noverca (7,4% di Engagement Rate), davanti a Vitasnella Bakery (6,29%) e Felix – Gatti da una zampa avanti (6,08%).

    C’è, infine, un ultimo indicatore fondamentale in materia di social media marketing. Quando si opera all’interno di un tool, la cui interattività è il principio essenziale, bisogna per l’appunto interagire!
    Ecco perché la classifica dei Socially Devoted Brands on Facebook è forse lo strumento migliore per un’analisi sulla presenza delle aziende sui social network.
    Tale graduatoria misura, tra le altre cose, il tempo medio di risposta da parte dell’impresa alle domande degli utenti, nonchè la frequenza di tali risposte. Se risponderai a più del 65% delle questioni poste potrai essere considerato un Socially Devoted Brand.
    L’utente, infatti, vuole interagire con l’azienda di riferimento e porre domande relative ai prodotti e ad eventuali offerte che vengono proposte. Ci sono, però, anche problemi tecnici che necessitano di soluzioni.
    È il caso, ad esempio, delle compagnie telefoniche chiamate a rispondere a numerose questioni di questo genere poste dai clienti. Non è un caso che in quattro dei primi cinque posti di questa graduatoria ci siano, appunto, delle compagnie telefoniche con Wind prima, seguita da Fastweb, poi Poste Italiane, Vodafone it e Tim.
    Addirittura il tempo medio di risposta ad una domanda da parte di Wind è di soli 8 minuti, mentre Fastweb e Tim presentano il 99% di response rate, dando una risposta, dunque, a quasi tutte le questioni poste.
    I dati appena riportati sono solo un atomo di un mondo in continua evoluzione e che diventerà sempre di più una parte integrante del tessuto economico mondiale.

     



  • Solo il 21% della popolazione italiana ha accesso ad una connessione Internet a banda ultralarga contro il 64% della media europea; la velocità media di navigazione su tutto il territorio italiano è inoltre inferiore ai 10 Mbps.
    Questi dati spiegano il perché l’Italia si trovi all’ultimo posto tra i paesi europei per utilizzo delle nuove tecnologie digitali per la connessione a Internet e rendono bene l’idea dell’impellenza dell’investimento sulla banda larga.

    banda largaDopo anni di attesa finalmente è arrivato un piano preciso con dei fondi altrettanto chiari.
    Sono sei i miliardi di euro investiti dal Governo, di cui 4 anticipati dalla Banca europea degli investimenti e due stanziati dalla Stato a fondo perduto.
    A questi vanno aggiunti i 2 miliardi già previsti dai privati e altri 4 derivabili dagli incentivi fiscali proposti dall’esecutivo per tutti i soggetti che decideranno di installare le strutture a fibra ottica nelle varie zone del nostro paese.
    L’Italia prova, dunque, a dare una svolta al proprio cammino digitale con un unico obiettivo: rispettare il programma dell’Agenda digitale europea 2020 che mira a coprire il 100% della popolazione con una connessione di 30 mbps ed il 50% con almeno 100 mbps.

    Il nostro paese paga ritardi ancestrali ed un’insistenza quasi miope sulle rete in rame. Il provvedimento del Ministero dello Sviluppo economico non obbligherà Telecom a spegnere il rame entro il 2030, come sembrava in un primo momento.
    Al contrario, la strategia dell’esecutivo prevede una forte incentivazione fiscale per chi deciderà di investire sulla fibra ottica, rendendo di fatto poco conveniente puntare sulla “vecchia” rete in rame.
    Le deduzioni di natura fiscale diventano ancora più forti nelle cosiddette regioni a fallimento sicuro. Il riferimento è al Sud Italia e ai territori montani, zone difficilmente raggiungibili dalla banda larga.
    Lo Stato dovrebbe prevedere dei fondi di garanzia per i privati che decideranno di investire in questi territori e, qualora questo non dovesse avvenire, sarà la mano pubblica ad intervenire per dotare queste zone di una connessione veloce.

    In generale il territorio italiano verrà diviso in quattro cluster, corrispondenti ad altrettante aree geografiche dove l’investimento sulla banda larga presenta diverse probabilità di successo.
    Le grandi città, ad esempio, hanno una copertura migliore, ecco perché i privati troveranno più conveniente dirottare le proprie risorse su questi territori, consci delle alte possibilità di successo del proprio investimento.
    Si tratta comunque di un piano doveroso, che dovrebbe rendere famiglie, scuole ed imprese immerse finalmente nella moderna realtà digitale.
    L’arretratezza del nostro paese dal punto di vista dell’innovazione è uno dei maggiori svantaggi competitivi sul mercato mondiale. Dotare la stragrande maggioranza dei cittadini di una connessione veloce è a tutti gli effetti un atto dovuto alla civiltà dell’Italia.



  • Il 31 marzo verrà compiuto un ulteriore passo verso la digitalizzazione dell’economia italiana.
    Niente più fattura cartacea nei rapporti tra Pubbliche Amministrazioni ed imprese. Qualsiasi attività commerciale, infatti, che fornirà beni o servizi o alle P.A. sarà obbligata a predisporre una fattura elettronica.
    L’obiettivo è rendere tracciabili e sottoposte a rigidi controlli le operazioni commerciali tra pubblico e privato e conservare le suddette fatture attraverso metodi più sicuri.

    Jobs act via i Co.co.pro e modifiche alle Partite IvaIl processo di transizione è iniziato il 6 giugno 2014, quando la fatturazione elettronica è diventata obbligatoria per Ministeri, Agenzie ed Enti Nazionali di Previdenza. Il sistema è stato valutato positivamente in questi primi sei mesi di sperimentazione, è quanto dichiarato da Alessandra Poggiani, direttore generale dell’AgId.
    L’obbligo di fatturazione elettronica verrà esteso a tutte le amministrazioni, escluse quelle locali, a partire dal 31 Marzo.
    Il processo di transizione, però, non sarà facile.
    Non tutte le imprese e non tutte le P.A., infatti, sono pronte. Per questo motivo sarà fondamentale l’attività di consulenza dei Digital Champions, ai quali ci si potrà rivolgere per avere chiarimenti sugli strumenti digitali a disposizione.

    L’obiettivo conclusivo del provvedimento è arrivare ad una vera e propria inclusione digitale di tutti soggetti coinvolti: professionisti, amministrazioni e pubbliche amministrazioni. Queste ultime non potranno più effettuare o ricevere pagamenti sotto forma cartacea, obbligando così i privati a fare altrettanto.
    Si creerà così un circolo virtuoso, con l’intento di modernizzare l’intero tessuto economico italiano.
    Tutte le informazioni tecniche sull’emissione delle fatture elettroniche si possono trovare sul sito www.fatturapa.gov.it .
    Per quanto riguarda, invece, le modalità d’invio si potranno utilizzare cinque tipologie:

    • Posta Elettronica Certificata (Pec)
    • Invio via Web
    • Servizio SDI-Coop – Trasmissione
    • Servizio SDIFTP
    • Servizio SP-Coop – Trasmissione

    Tutti i dati verranno controllati dal Sistema di InterScambio il quale poi provvederà a girarli alle pubbliche amministrazioni.
    Come accennato in precedenza, l’innovazione riguarda anche le modalità di conservazione delle fatture, che andrà effettuata esclusivamente in via telematica. Ci sarà, infatti, un responsabile della conservazione che apporrà la propria firma digitale sul documento con la relativa data di deposito.
    Verrà adottato, inoltre, uno specifico software che consentirà la conservazione delle fatture per almeno dieci anni.